Il «montismo» riscrive i contenuti degli schieramenti

Il montismo sta diventando un po' come il berlusconismo. Nel senso che – sia pure in un abisso di differenze – sta disegnando il campo politico proprio come fece il Cavaliere quando scese in campo. Quella mossa nel '94 ha definito per 18 anni gli schieramenti italiani in tutta la loro debolezza e finzione, giacché il loro collante era un'avversione e non un progetto comune. E questo è valso sia a destra che a sinistra, con la conseguenza che il centro-sinistra non è riuscito a governare per più di due anni e il centro-destra non è riuscito a realizzare la promessa di riforme e rivoluzione liberale.
L'incoerenza politica dei due fronti ha portato al fallimento di un'intera classe politica, che un anno fa è stata costretta ad abdicare a Mario Monti. Ora con lui sta accadendo qualcosa di molto simile. Si è visto proprio nei giorni scorsi con l'ipotesi – alimentata da alcune frasi del premier – di una continuità di Monti al Governo anche nel 2013. Un bis, insomma, che ha spaccato gli schieramenti non secondo la traiettoria cui eravamo abituati. Nel senso che la cesura – i sì o i no al montismo – non hanno tagliato perfettamente il centro-destra dal centro-sinistra, Berlusconi da Bersani, ma pezzi di Pd e pezzi di Pdl. Solo l'Udc è rimasto integro avendo fatto di Monti la sua bandiera e la sua identità politica sin dal giorno dell'insediamento del premier. In sostanza le posizioni politiche dei partiti non si stanno definendo per le loro visioni di economia o società ma per la loro distanza dall'agenda Monti.
Certo, è già un gesto di chiarezza in una classe politica che in un anno non è riuscita a fare nulla di propria iniziativa. Il dimezzamento del finanziamento ai partiti è arrivato dopo Luigi Lusi, Pd ed ex tesoriere della Margherita; per la marcia indietro sui costi delle Regioni c'è voluto l'impulso dello scandalo Pdl della Regione Lazio. Nulla di definitivo è stato, invece, deciso sulla legge elettorale o su quella fantomatica promessa di riduzione del numero dei parlamentari. Per non parlare della legge anti-corruzione, rimasta al palo per mesi fino allo scempio del Lazio che ha costretto i partiti a chiedere il voto di fiducia al Governo.
Una politica incapace di autoriformarsi, screditata dalla corruzione o dagli sperperi e malcostume, finora ha saputo solo rifugiarsi in una nuova categoria. E dopo il berlusconismo e l'anti-berlusconismo, siamo al montismo e all'anti-montismo. Naturalmente ciascun politico trova in questa macro distinzione la sua corretta declinazione: ci sono i critici di Monti, cioè la sinistra del Pd; ci sono gli "oltre-Monti" come Bersani o D'Alema; i montisti puri come l'area liberal del Pd. E dall'altra parte, con un Cavaliere "grillino" che debutta in treno sulla tratta Milano-Roma, c'è un Pdl che è a un passo dalla scissione tra gli antiMonti – come gli ex An – e i possibilisti, come gran parte degli ex Forza Italia. Comunque il tecnico Monti è riuscito nell'impresa di dare un contenuto alla politica che i politici non sono stati in grado di trovare. E di riaggregare trasversalmente gli schieramenti secondo contenuti più coerenti che il «berlusconismo e l'anti».
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