Le Monde: "da Roma pronti a partire 1.500 soldati"

L’Italia farà la sua parte con spirito positivo». Il titolare della Farnesina Franco Frattini ieri tratteneva a stento la soddisfazione di poter finalmente dire che il governo italiano, il più lontano - e snobbato - partner europeo dell`amico americano, darà una mano al presidente Obama che recita l`inedita parte del primo Nobel per la pace che invia truppe in zona di guerra. «Obama ha illustrato a Berlusconi, così come la Clinton ha illustrato a me, le nuove linee strategiche» sull`Afghanistan, ed è tutt`altro che un disimpegno, spiega il ministro. «Non parlerei di exit strategy, piuttosto di una strategia per riportare verso la libertà l`Afghanistan». Anche perché, spiega, il calendario del ritiro dal teatro di guerra «deve essere di tutti» e quindi se gli Usa pensano ad altri tre anni di missione (o più probabilmente cinque) l`Italia chiarisce di non aver intenzione di essere da meno. Del resto, interpreta Margherita Boniver (Pdl), «sull`azione in Afghanistan il presidente americano si gioca tutta la sua credibilità su uno scenario arrivato ad un punto di non ritorno» e l`opzione di riportare le truppe a casa «non è stata mai preso in considerazione». Fatto sta che del nuovo invio, e certo non dell`exit strategy, Frattini parlerà giovedì con la sottosegretaria di stato Usa a Bruxelles, nel corso del vertice Nato. E comunque l`Italia, a differenza di Francia, non ha neanche un dubbio. E troppo presto per parlare di «numeri» ovvero di quanti soldati italiani verranno mandati nel pantano afgano - ammette Frattini, ma non è detto. Le cifre già cominciano a circolare e ieri il quotidiano Le Monde ha anticipato che dei 10mila militari che Obama si aspetta dalla Nato, 1500 sarebbero quelli italiani (quanto ai francesi, Sarkozy avrebbe spiegato la sua posizione al presidente Usa nel corso di una telefonata, ieri: neanche un uomo di più). Tutte illazioni, secondo il ministro della Difesa Ignazio La Russa, la decisione sulle cifre avverrà - al netto di qualche scossone del governo in merito alla politica interna - dopo giovedì in un incontro già stabilito fra il presidente Berlusconi, Frattini e lui stesso, anche perché «non si tratta di decidere solo se e quanti uomini inviare ma in quale contesto e con quale progetto», quello che è sicuro è che guardiamo con grande attenzione alla richiesta che viene dalla Nato e dagli Stati Uniti». Altra cosa certa è l`omogeneità di opinioni con cui il parlamento italiano sta seguendo la vicenda del rinforzo del contingente afghano. Se n`è avuto ieri un saggio in tempo reale. Nel tardo pomeriggio a Palazzo Madama si è svolta la discussione sul disegno di legge di conversione del decreto sulle misure urgenti perla proroga delle missioni internazionali, in scadenza i13 gennaio 2010. Fuori, un gruppetto della sinistra radicale (Prc e Pdci) faceva sventolare qualche bandierina contro la guerra e dedicava qualche slogan sarcastico al Nobel pentito. Dentro un emiciclo bipartisan verrebbe da dire ambidestro - dava l`ok al provvedimento nel corso della discussione, anche se il voto finale arriverà stamattina. Due le eccezioni, schierate su due fronti opposti. Quella dell`Italia dei valori, l`unica forza rappresentata in parlamento che chiede il ritiro delle truppe e che quindi stamattina voterà no al provvedimento. «Questo decreto non ha copertura economica in finanziaria. Serve una exit strategy entro il 28 febbraio perché quella missione è diventata di guerra ed è contraria a quanto scritto nella nostra Costituzione», ha spiegato Stefano Pedica, capogruppo dipietrista in commissione esteri. Fortemente critica con la politica afghana dell`Italia anche la delegazione radicale nel Pd, ma per l`insufficienza della nostra azione nello scenario geopolitico afghano, e non certo ma per la «necessaria» presenza delle truppe in un teatro pure «pericolosissimo», come ha spiegato la vicepresidente del senato Emma Bonino.
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