La moda del pizzino alla Camilleri

Una premessa: la mia solidarietà nei confronti dei fotografi di Montecitorio è totale e senza riserve. Manca solo che un deputato pretenda di non essere fotografato se si addormenta durante la seduta o guarda i siti porno sull'I-pad. La privacy non c'entra nulla, l'aula parlamentare è il luogo 'pubblico" per eccellenza e nemmeno la rilevanza del ruolo può essere invocata. Lo zoom e il grandangolo hanno ridicolizzato più di un regnante.
Ciò premesso mi sento totalmente solidale anche con Enrico Letta. Quello che gli è successo però non è colpa dei fotografi, e nemmeno del presidente Monti. Se mai è colpa del meritato successo di Camilleri, per cui un biglietto diventa immediatamente un pizzino e chi lo scrive si ritrova equiparato al capo della mafia. Ma non è questione solo di mode linguistiche, c'è chi delinea norme generali: «Un biglietto è un biglietto. Solo se lo nascondi ai fotografi diventa pizzino». Questa follia l'ha scritta uno dei migliori giornalisti che conosca, Francesco Merlo. Se uno deve convocare i fotografi, che scrive a fare un biglietto? Tanto vale fare un comunicato stampa. Tanto più che «il biglietto di Letta era tutto sommato innocente», scrive sempre Merlo.
E allora che senso ha paragonarlo a Provenzano? Perché chiamare il biglietto «messaggio segreto»? In fondo Letta, Enrico, si metteva a disposizione del premier col beneplacito di Bersani. Non era nemmeno una notizia, altro che pizzino. Fosse stato di suo zio, avrei capito la sorpresa.
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