Il mito infranto del partito degli onesti

Dalla Rassegna stampa

Dunque la stagione politica di Di Pietro pare giunta al capolinea: è stato per anni il leader della protesta, ora al massimo diventerà un grillino di complemento. Non è la prima volta che un integerrimo trova qualcuno più integerrimo di lui: accadde anche a Robespierre, e parabole del genere le ha raccontate benissimo perfino Alberto Sordi con i suoi film, dal «Vigile» al «Moralista».

 

Non stupiscono quindi né la cancellazione del nome dal simbolo del partito (quante icone, in politica, sono diventate all’improvviso motivo di imbarazzo), né la probabile dissoluzione della stessa Italia dei Valori. A stupire, piuttosto, è la reazione, diciamo così, «garantista», dell’intero fronte, diciamo così, «giustizialista».

 

Di Pietro è difeso a sciabola sfoderata sia dal «Fatto quotidiano» sia da Beppe Grillo, il quale l’ha addirittura proposto per il Quirinale. «Certamente meglio lui, uomo onesto, di Napolitano, il peggior presidente che abbiamo avuto», ha detto più o meno il comico e nuotatore genovese, e basterebbe questo per far capire di chi e di che cosa stiamo parlando.

 

Comunque. Perché chi è sempre stato tanto spietato con tutti i politici indagati o anche solo chiacchierati è ora tanto indulgente con Di Pietro? Perché le inchieste di Milena Gabanelli sono il Verbo quando toccano i professionisti della politica e spazzatura quando toccano quelli dell’antipolitica?

 

Azzardando una prima ipotesi benevola, si potrebbe dire questo: Grillo e il fronte giustizialista che lo sostiene non vogliono che si cada nell’equivoco del «tutti colpevoli quindi tutti innocenti». Non vogliono insomma che si corra il rischio di mettere ogni cosa e ogni persona sullo stesso piano. Questa è una preoccupazione legittima perché, effettivamente, sul motto «non facciamo i moralisti perché tanto tutti abbiamo qualcosa da farci perdonare» c’è chi ci ha marciato, in questi anni.

 

Ma è chiaro che questa ipotesi benevola non basta a spiegare il motivo di tanto accanimento alla rovescia sul caso Di Pietro. Perché è certamente possibile che il leader dell’Italia dei Valori non abbia commesso alcun reato, e che possa chiarire tutto ciò che riguarda l’utilizzo del denaro ricevuto per l’attività politica. Ma è ancora più certo che, in casi analoghi e anche per molto meno, Grillo e i suoi alleati giornalistici non hanno usato la stessa clemenza. Hanno piuttosto gridato al ladro, chiesto immediate dimissioni, invocato ergastolo politico, suggerito di buttare via la chiave.

 

E allora, perché? Avanziamo un’altra ipotesi, questa. La scoperta della non impeccabilità di Di Pietro (che non impeccabile lo è a prescindere da quanto denunciato da Report: basta pensare alla scelta di tanti dirigenti sbagliati nel partito) smaschera il nulla politico che si nasconde dietro tutto quel fronte che da anni sta vivendo e lucrando sui peccati altrui.

 

Intendiamoci: meno male che c’è chi denuncia, punta il dito, s’indigna. Non ci fosse, politici e affaristi sarebbero ancor più liberi e indisturbati nelle loro razzie. Ma denunciare, puntare il dito e indignarsi, anche quando è legittimo, non è sufficiente per candidarsi a guidare un Paese. Per questo diciamo che tanta furia garantista pro Di Pietro è dovuta al fatto che quel che emerge sull’Italia dei Valori smaschera il nulla che c’è dietro a quel partito, ma anche dietro a Grillo e ai suoi sodali. Cioè dietro a tutto quel movimento di protesta che periodicamente si affaccia sulla scena di ogni nazione, denunciando (non senza ragioni) il marcio del potere, ma fermandosi lì.

 

Come si è presentato, quasi vent’anni fa, Di Pietro in politica? «Sono l’uomo dalle mani pulite». Come si chiama il suo partito. «Dei Valori». È di destra o di sinistra? «Sono onesto». Che programmi ha per la ripresa economica? «I corrotti in galera». E la sanità? «Non bisogna rubare». E l’Europa, l’America, i mercati emergenti, la questione ambientale, la bioetica? «Io non rubo». Tutto così. La verginità, anzi l’immacolata concezione come unica ragione sociale.

 

Ecco perché quando il mito dell’onestà assoluta si rivela per quello che è - un mito, appunto - non resta più niente. A Di Pietro e al suo successore Beppe Grillo.

 

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