Il mistico "pop" che conquistò l'Occidente

Sono già passati quattro mesi dal ventennale della morte di Osho, il notissimo filosofo e leader carismatico indiano il cui vero nome era Rajneesh Chandra Mohan Jain e poi Bhagwan Shree Rajneesh.
Ma dalla data del 19 gennaio l’anniversario del 1990 della sua scomparsa a Pune in India - quasi nessuno ha ricordato l’importanza di questo maestro per quelle generazioni che hanno vissuto in pieno l’ondata di neospiritualismo il quale ha investito l’Occidente nel dopoguerra, soprattutto negli anni successivi al decennio dei Sessanta. Eppure a tutt’oggi i libri di Osho sono ancora molto letti e l"‘utilizzo" dell’insegnamento del maestro spirituale che propone un percorso di liberazione, di consapevolezza di sé, di riscoperta di appartenenza "alla vita" e poi ovviamente di reale benessere e di libera pratica sessuale, lascerebbe pensare a ben altra collocazione nel novero delle personalità dei nostri tempi. Osho è stato peraltro il fondatore del movimento con stile di vita "alternativo" dei cosiddetti "arancione" (Osho-Rajneesh movement), diffusi anche in varie città italiane e in passato legati anche al dinamico Partito radicale.
In Italia sono suoi discepoli Jacopo Fo, con il suo Centro Alcatraz in Umbria, e Pippo Franco che ispirato alla lezione del saggio indiano ha scritto un bel libro come Pensieri per vivere. Itinerario di evoluzione interiore (Edizioni Mediterranee). E negli anni ‘70 anche il compianto Mauro Rostagno in India, a Poona si unì agli arancioni di Rajneesh, prendendo, nel ‘79, dal suo Maestro il nome di Swami Anand Sanatano. Parlare di spiritualismo del secondo’900 è rischioso, soprattutto quando ci si imbatte in personalità come quella di Osho che peraltro venne pure arrestato negli anni ‘80 in America, a seguito di uno scandalo che coinvolse il suo ranch nell’Oregon - una vera e propria città - luogo dove si era spostato agli inizi degli’80, avendo messo su delle attività economiche di vario genere (dalle aziende agricole alle attività commerciali con tanto di casinò), e che solitamente viene citato per l’efficacia e la semplicità (come sinonimo di superficialità) delle "sintesi" dottrinali proposte nel corso degli anni. Per la compianta antropologa e studiosa delle religioni
cosiddette alternative, Cecilia Gatto Trocchi, critica fino all’ironia verso alcune sette religiose, il "successo" di Osho sta infatti proprio nel «sincretismo assai originale fra le varie dottrine orientali». Rajneesh non è il primo a mettere insieme elementi delle più svariate culture del pianeta - ma forse è il più bravo o magari è solo il guru che arriva al momento giusto - e così assembla vari «elementi portanti, come quelli desunti dall’induismo, dal tantrismo, secondo i quali tutto è sacro, compreso l’atto sessuale, anzi il sesso è un mezzo per progredire nell’ascesi spirituale, per arrivare a trascendere la sessualità senza reprimerla».
Molto ci sarebbe da dire sul sesso, a cominciare dagli studi di Evola che precorsero alcune idee di Osho per poi approdare anche alle teorie di Wilhelm Reich, e molto ci sarebbe da dire sulla "singolarità" di certe affermazioni oshiane, tanto che diventa subito chiara la circostanza che le possibilità, le vie, attraverso le quali operare una "trasformazione" dell’individuo per Osho sembrano pressoché infinite, perché "infinite" le fonti alle quali egli stesso attinge: buddhismo, pratiche yoga, mistica Sufi, filosofia greca, alchimia medievale, teologia cristiana, tradizione ebraica e zoroastrismo. Un vero precursore della controcultura "New Age" insomma che peraltro adatta alla perfezione "vecchie" teorie o dottrine alle esigenze dell’uomo contemporaneo.
Nel paniere del coltissimo Osho (10mila libri letti e 600 che raccolgono i suoi "studi" sull’uomo) non mancano peraltro le eccellenze occidentali: da papà Freud e tutti i suoi allievi (ovviamente Jung), fino al ben più lontano Paolo di Tarso. Perfino Nietzsche, dice ancora la Gatto Trocchi (qui l’appartenenza è del tutto scontata) è uno degli ispiratori del filosofo che era nato a Kuchwada nel dicembre del 1931, lo si evince da alcune espressioni che, Osho donerebbe sovente ai propri lettori: «Diventa ciò che sei; voi guardate in alto perché cercate elevazione, io guardo in basso perché sono elevato, ecc...». In tutta questa abbondanza di riferimenti, emergono delle parole d’ordine oshiane che possono considerarsi determinanti per penetrare l’insegnamento di Raineesh.
Al centro di tutto sta la meditazione quale atto di trascendenza della stessa mente dell’uomo. La meditazione è per Osho un andare oltre la mente, quasi una regressione allo stadio fanciullesco un ritorno a una "condizione" di piena innocenza. Meditare oggi significa in primo luogo svuotare la mente dalle distrazioni esterne mediante tecniche o esercizi ricavati da diversi luoghi del o delle emozioni: dalla danza, al riso, dall’alterazione del respiro al pianto. La stessa meditazione poi - tutt’altro che un esercizio passivo - si basa su principi di tipo psicanalitico oltreché sulla concezione che psiche e corpo sono intimamente connessi. Scopo della meditazione è infine quella di ottenere l’illuminazione che - nella concezione oshana - null’altro è se non l’acquisizione di una piena consapevolezza nelle azioni della più comune quotidianità. Quasi una iniziazione "pop" potremmo dire, nulla di élitario o di esclusivo. Quasi una iniziazione di tipo "profano" verrebbe da commentare leggendo ancora Gatto Trocchi: «Il nocciolo del suo insegnamento è stato negare ogni insegnamento. Ognuno deve percorrere la sua strada e può farlo solo dubitando di tutto...». Proprio per questa sua propensione alla "ribellione" perfino nei confronti degli stessi maestri spirituali o guru, Osho è stato considerato a lungo una "guida spirituale" dell’area libertaria o anche della nuova sinistra irregolare (così lo classificò Fabrizio Ponzetta nel suo: L’esoterismo nella cultura di destra. L’esoterismo nella cultura di sinistra, Jubal 2005) a lui furono vicini ad esempio Andrea Valcarenghi fondatore della rivista della controcultura Re Nudo, e come abbiamo detto Mauro Rostagno; Federico Fellini e Giorgio Gaber firmarono invece petizioni in suo favore dopo che fu costretto a girovagare per mezzo mondo malvisto dall’America reganiana. Ma noi sappiamo pure benissimo tuttavia che certe classificazioni destra-sinistra oggi andrebbero completamente riviste.
Come per gran parte dei maestri di spiritualità del ‘900, Rajneesh giunse alle sue certezze attraverso
una ricerca "della verità" che incrociò il proprio punto di vertice un giorno ben determinato della sua esistenza. Per lui si trattò del 21 marzo del 1953. Sta scritto infatti nelle note biografiche inserite nei suoi libri che in quel giorno «egli si illumina, vivendo ciò che in Oriente è descritto come «l’istante in cui la goccia si fonde nell’oceano, nell’attimo stesso in cui l’oceano si riversa nella goccia».
Per noi è più facile comprenderla come "la totale rottura e la caduta delle maschere con cui ci si identifica per sopravvivere, e attraverso le quali si vivono la propria vita e i rapporti con gli altri, perdendo la capacità di mettersi in contatto con la realtà dell’esistenza"». Insomma: Rajneesh apre gli occhi "sulla realtà" e allo stesso tempo decide di invitare «gli altri esseri umani» alla conoscenza di quel tipo di consapevolezza e alla conseguente trasformazione delle proprie abitudini interiori ed esteriori. Comincia così a viaggiare per l’India, a tenere dibattiti e a coinvolgere sempre più "discepoli".
Nel ‘74 si trasferisce a Pune dove fonda un centro spirituale che in pochi anni riesce a calamitare migliaia
di visitatori soprattutto dall’Occidente. Perfino il nome col quale è noto (Osho appunto) ricorda il fondamentale tratto biografico del leader degli Arancioni. «Osho ha spiegato che il suo nome deriva dal termine osheanic coniato dal filosofo inglese William James, e da lui usato per indicare l’esperienza del "dissolversi nell’oceano dell’esistenza" comune alle varie forme dell’esperienza religiosa». Osho è dunque colui che compie quella determinata esperienza. Ma Osho è anche l’appellativo
utilizzato nell’antico Giappone come segno di rispetto per i maestri Zen: "O" come rispetto appunto, e "Sho" come espansione della consapevolezza...
Alla morte Rajneesh volle la seguente epigrafe: «Osho. Mai nato, mai morto, ha solo visitato questo pianeta Terra dall’11 dicembre 1931 al 19 gennaio 1990». Una frase a effetto: una parola dietro un’altra da profeta dell’ironia, da maestro Zen e da pensatore agnostico. Tutti e tre in un colpo solo.
Ma dalla data del 19 gennaio l’anniversario del 1990 della sua scomparsa a Pune in India - quasi nessuno ha ricordato l’importanza di questo maestro per quelle generazioni che hanno vissuto in pieno l’ondata di neospiritualismo il quale ha investito l’Occidente nel dopoguerra, soprattutto negli anni successivi al decennio dei Sessanta. Eppure a tutt’oggi i libri di Osho sono ancora molto letti e l"‘utilizzo" dell’insegnamento del maestro spirituale che propone un percorso di liberazione, di consapevolezza di sé, di riscoperta di appartenenza "alla vita" e poi ovviamente di reale benessere e di libera pratica sessuale, lascerebbe pensare a ben altra collocazione nel novero delle personalità dei nostri tempi. Osho è stato peraltro il fondatore del movimento con stile di vita "alternativo" dei cosiddetti "arancione" (Osho-Rajneesh movement), diffusi anche in varie città italiane e in passato legati anche al dinamico Partito radicale.
In Italia sono suoi discepoli Jacopo Fo, con il suo Centro Alcatraz in Umbria, e Pippo Franco che ispirato alla lezione del saggio indiano ha scritto un bel libro come Pensieri per vivere. Itinerario di evoluzione interiore (Edizioni Mediterranee). E negli anni ‘70 anche il compianto Mauro Rostagno in India, a Poona si unì agli arancioni di Rajneesh, prendendo, nel ‘79, dal suo Maestro il nome di Swami Anand Sanatano. Parlare di spiritualismo del secondo’900 è rischioso, soprattutto quando ci si imbatte in personalità come quella di Osho che peraltro venne pure arrestato negli anni ‘80 in America, a seguito di uno scandalo che coinvolse il suo ranch nell’Oregon - una vera e propria città - luogo dove si era spostato agli inizi degli’80, avendo messo su delle attività economiche di vario genere (dalle aziende agricole alle attività commerciali con tanto di casinò), e che solitamente viene citato per l’efficacia e la semplicità (come sinonimo di superficialità) delle "sintesi" dottrinali proposte nel corso degli anni. Per la compianta antropologa e studiosa delle religioni
cosiddette alternative, Cecilia Gatto Trocchi, critica fino all’ironia verso alcune sette religiose, il "successo" di Osho sta infatti proprio nel «sincretismo assai originale fra le varie dottrine orientali». Rajneesh non è il primo a mettere insieme elementi delle più svariate culture del pianeta - ma forse è il più bravo o magari è solo il guru che arriva al momento giusto - e così assembla vari «elementi portanti, come quelli desunti dall’induismo, dal tantrismo, secondo i quali tutto è sacro, compreso l’atto sessuale, anzi il sesso è un mezzo per progredire nell’ascesi spirituale, per arrivare a trascendere la sessualità senza reprimerla».
Molto ci sarebbe da dire sul sesso, a cominciare dagli studi di Evola che precorsero alcune idee di Osho per poi approdare anche alle teorie di Wilhelm Reich, e molto ci sarebbe da dire sulla "singolarità" di certe affermazioni oshiane, tanto che diventa subito chiara la circostanza che le possibilità, le vie, attraverso le quali operare una "trasformazione" dell’individuo per Osho sembrano pressoché infinite, perché "infinite" le fonti alle quali egli stesso attinge: buddhismo, pratiche yoga, mistica Sufi, filosofia greca, alchimia medievale, teologia cristiana, tradizione ebraica e zoroastrismo. Un vero precursore della controcultura "New Age" insomma che peraltro adatta alla perfezione "vecchie" teorie o dottrine alle esigenze dell’uomo contemporaneo.
Nel paniere del coltissimo Osho (10mila libri letti e 600 che raccolgono i suoi "studi" sull’uomo) non mancano peraltro le eccellenze occidentali: da papà Freud e tutti i suoi allievi (ovviamente Jung), fino al ben più lontano Paolo di Tarso. Perfino Nietzsche, dice ancora la Gatto Trocchi (qui l’appartenenza è del tutto scontata) è uno degli ispiratori del filosofo che era nato a Kuchwada nel dicembre del 1931, lo si evince da alcune espressioni che, Osho donerebbe sovente ai propri lettori: «Diventa ciò che sei; voi guardate in alto perché cercate elevazione, io guardo in basso perché sono elevato, ecc...». In tutta questa abbondanza di riferimenti, emergono delle parole d’ordine oshiane che possono considerarsi determinanti per penetrare l’insegnamento di Raineesh.
Al centro di tutto sta la meditazione quale atto di trascendenza della stessa mente dell’uomo. La meditazione è per Osho un andare oltre la mente, quasi una regressione allo stadio fanciullesco un ritorno a una "condizione" di piena innocenza. Meditare oggi significa in primo luogo svuotare la mente dalle distrazioni esterne mediante tecniche o esercizi ricavati da diversi luoghi del o delle emozioni: dalla danza, al riso, dall’alterazione del respiro al pianto. La stessa meditazione poi - tutt’altro che un esercizio passivo - si basa su principi di tipo psicanalitico oltreché sulla concezione che psiche e corpo sono intimamente connessi. Scopo della meditazione è infine quella di ottenere l’illuminazione che - nella concezione oshana - null’altro è se non l’acquisizione di una piena consapevolezza nelle azioni della più comune quotidianità. Quasi una iniziazione "pop" potremmo dire, nulla di élitario o di esclusivo. Quasi una iniziazione di tipo "profano" verrebbe da commentare leggendo ancora Gatto Trocchi: «Il nocciolo del suo insegnamento è stato negare ogni insegnamento. Ognuno deve percorrere la sua strada e può farlo solo dubitando di tutto...». Proprio per questa sua propensione alla "ribellione" perfino nei confronti degli stessi maestri spirituali o guru, Osho è stato considerato a lungo una "guida spirituale" dell’area libertaria o anche della nuova sinistra irregolare (così lo classificò Fabrizio Ponzetta nel suo: L’esoterismo nella cultura di destra. L’esoterismo nella cultura di sinistra, Jubal 2005) a lui furono vicini ad esempio Andrea Valcarenghi fondatore della rivista della controcultura Re Nudo, e come abbiamo detto Mauro Rostagno; Federico Fellini e Giorgio Gaber firmarono invece petizioni in suo favore dopo che fu costretto a girovagare per mezzo mondo malvisto dall’America reganiana. Ma noi sappiamo pure benissimo tuttavia che certe classificazioni destra-sinistra oggi andrebbero completamente riviste.
Come per gran parte dei maestri di spiritualità del ‘900, Rajneesh giunse alle sue certezze attraverso
una ricerca "della verità" che incrociò il proprio punto di vertice un giorno ben determinato della sua esistenza. Per lui si trattò del 21 marzo del 1953. Sta scritto infatti nelle note biografiche inserite nei suoi libri che in quel giorno «egli si illumina, vivendo ciò che in Oriente è descritto come «l’istante in cui la goccia si fonde nell’oceano, nell’attimo stesso in cui l’oceano si riversa nella goccia».
Per noi è più facile comprenderla come "la totale rottura e la caduta delle maschere con cui ci si identifica per sopravvivere, e attraverso le quali si vivono la propria vita e i rapporti con gli altri, perdendo la capacità di mettersi in contatto con la realtà dell’esistenza"». Insomma: Rajneesh apre gli occhi "sulla realtà" e allo stesso tempo decide di invitare «gli altri esseri umani» alla conoscenza di quel tipo di consapevolezza e alla conseguente trasformazione delle proprie abitudini interiori ed esteriori. Comincia così a viaggiare per l’India, a tenere dibattiti e a coinvolgere sempre più "discepoli".
Nel ‘74 si trasferisce a Pune dove fonda un centro spirituale che in pochi anni riesce a calamitare migliaia
di visitatori soprattutto dall’Occidente. Perfino il nome col quale è noto (Osho appunto) ricorda il fondamentale tratto biografico del leader degli Arancioni. «Osho ha spiegato che il suo nome deriva dal termine osheanic coniato dal filosofo inglese William James, e da lui usato per indicare l’esperienza del "dissolversi nell’oceano dell’esistenza" comune alle varie forme dell’esperienza religiosa». Osho è dunque colui che compie quella determinata esperienza. Ma Osho è anche l’appellativo
utilizzato nell’antico Giappone come segno di rispetto per i maestri Zen: "O" come rispetto appunto, e "Sho" come espansione della consapevolezza...
Alla morte Rajneesh volle la seguente epigrafe: «Osho. Mai nato, mai morto, ha solo visitato questo pianeta Terra dall’11 dicembre 1931 al 19 gennaio 1990». Una frase a effetto: una parola dietro un’altra da profeta dell’ironia, da maestro Zen e da pensatore agnostico. Tutti e tre in un colpo solo.
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