Ministri, i no che pesano e il rebus dell’Economia

Si complica il puzzle del governo. Matteo Renzi ha appena incassato alcuni no di peso: dopo lo scrittore Alessandro Baricco, che ha declinato la Cultura, è stata la volta di Andrea Guerra, ad di Luxottica in predicato per il superdicastero Sviluppo Economico e Lavoro, che preferisce restare in azienda. Ma soprattutto resta vacante la casella cruciale dell’Economia. Si è chiamata fuori Lucrezia Reichlin: «Io non vado in Europa a chiedere di sforare il 3% - fa sapere Reichlin - senza aver concordato prima con il premier le riforme necessarie all’Italia». Cosa che, finora, non è accaduta: «Non conosco il piano di Renzi e quel poco che ho letto finora non lo condivido». Considerato fuori anche Bini Smaghi. E se il presidente della Repubblica sollecita un titolare «politico» e non «tecnico», si è già detto indisponibile Romano Prodi. Resta in campo, forse, Fabrizio Barca, pur poco incline e sgradito al centrodestra. Ma soprattutto, in queste ore, è tornato in campo un pressing estremo su Enrico Letta. Per ora solo una sorta di moral suasion che Giorgio Napolitano starebbe esercitando con una sola preoccupazione: rassicurare i mercati e la comunità internazionale. Ma anche una soluzione per Renzi, che per via XX Settembre non ha trovato il grimaldello.
Da parte sua, l’ex premier ha già rifiutato una volta l’offerta, dicendo al suo successore in pectore che non è in cerca di poltrone, né per sé, né per i suoi. Continua a dichiararsi non interessato ed è in partenza con la famiglia per una lunga vacanza intercontinentale. Non solo: nei colloqui privati ribadisce che eventuali offerte accettate dai suoi, sarebbero «a titolo personale» e non certo sponsorizzate da lui. Va detto che se l’operazione andasse in porto, garantirebbe più risultati. Letta risponde a più requisiti: è conosciuto in Europa, dove l’Italia dovrà giocare un corpo a corpo contro le vestali dell’austerità. Inoltre la sua presenza ricucirebbe uno strappo all’interno del più grande partito della maggioranza, che ha provocato ferite nella comunità Democrat. Al momento, però, avere Letta in squadra pare una missione impossibile.
Il resto del mosaico è un cantiere aperto. L’unica certezza, salvo soprese, è il trasloco di Graziano Delrio come sottosegretario di Palazzo Chigi, ruolo oscuro ma di grande peso. E c’è il nodo del Viminale, che Alfano non vuole lasciare. Maria Elena Boschi, fedelissima renziana, è in pole per le Riforme. Federica Mogherini data per certa alle Politi- che Comunitarie in sostituzione di Enzo Moavero. Altra quota rosa sarebbe Roberta Pinotti alla Difesa (di cui è sottosegretario), ma oltre al competitor Emanuele Fiano si registra la resistenza di Mario Mauro in quota Popolari. In Scelta Civica se la battono il segretario Stefania Giannini (Cultura o Istruzione) con Andrea Romano. Mentre il viceministro Carlo Calenda aspira a un ruolo economico. Se non va in porto la suggestione (vaga) di affidare il Made in Italy a Montezemolo (magari ripristinando il Commercio Estero). Alla Cultura punta Dario Franceschini se non resterà ai Rapporti con il Parlamento.
All’Agricoltura il renziano Ernesto Carbone. Renzi comunque vuole nomi pesanti per i ministeri economici. Vorrebbe in squadra Mauro Moretti, ad di Ferrovie Italiane, magari allo Sviluppo (con il Lavoro per Tito Boeri o Marianna Madia). Agli Esteri Emma Bonino potrebbe restare per garantire continuità alla Farnesina (anche sulla delicata vicenda dei due marò), anche se il segretario non è del tutto convinto. Andrea Orlando, rifiutata la Giustizia, conta di rimanere al suo posto all’Ambiente. Ancora nel frullatore anche la casella della Giustizia. Uno dei nodi perché Silvio Berlusconi si aspetta una figura «non ostile» a pena del dialogo sulle riforme. Molto forte il pressing sulla presidente del tribunale di Milano Livia Pomodoro. Tra i nomi anche l’ex casiniano Michele Vietti, ora vicepresidente del Csm (che però perde quota), il ritorno dell’ex Guardasigilli Paola Severino, e l’avvocato Guido Calvi.
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