Mina Welby: «I ministri stiano un giorno insieme a loro per capire»

Dalla Rassegna stampa

Mina Welby, con i suoi capelli bianchi, atterra come un angelo custode tra le carrozzine in protesta davanti a via Venti Settembre. «Ti abbiamo visto, da Fazio e Saviano, grazie», le dicono. E chi non può più parlare la cerca con gli occhi. Bisogno di coraggio e di parole che sanno cosa è la sofferenza. «Non dobbiamo essere mica come Cristo in croce, le sofferenze non vanno prolungate... Forse anche i ministri dovrebbero stare ventiquattr’ore accanto ai malati di Sla per capire di cosa hanno bisogno: assistenza e diritto a esprimere la loro volontà sulla vita e sulla morte». Sembra facile detto da lei.
 Non lo è. «Mina mio papà è morto... un mese fa, è stato terribile, l’ultima volta che sono riuscita a comunicare con lui lo chiedeva con gli occhi di morire e invece abbiamo dovuto aspettare che si deperisse e nessuno che lì ad aiutarti...», la prende per un braccio una donna. Si chiama Sara Ursella, viene da Faetis, un paese vicino Udine, la città che ha aiutato a morire Eluana. «La chiusura è atroce in tutta Italia, anche da noi». Suo padre Enzo era malato di Sla. Alla fine - racconta Sara - non riusciva nemmeno a sbattere le palpebre. «Stava perdendo la vista e con quella anche la possibilità di comunicare attraverso i movimenti della pupilla...». Per quello voleva morire. «La cosa migliore sarebbe stata spegnere il respiratore, è una morte dolce». Sara ci ha pensato tante volte: «Ma attualmente in Italia viene considerata omicidio o al più suicidio assistito e io il coraggio che avuto Mina non ce l’ho avuto».

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