I migliori nella gara dei peggiori

Ci sono molte cose da dire su Scommessopoli e le sue fresche degenerazioni: alcune sono cose divertenti, col rischio però che la risata degeneri in ghigno, in rictus, alcune tristi, alcune pratiche. Cominciamo da queste ultime: il fatto secondo noi sin troppo teorico che si possa o si voglia puntare sulla catarsi magari spontanea, cioè su di una purificazione conseguente alle sentenze sia della giustizia ordinaria che di quella sportiva, in una emersione a riveder le stelle possibile soltanto dopo che, toccato il fondo, si è presa la spinta di piedi per risalire, commuove ma sa un po’ troppo di idealistico e anche di inevitabile distraente bla-bla-bla.
Il fatto invece che un po’ tutti si tifi, anche da distanza, anche con metodi paranormali, perché la Nazionale azzurra vinca gli Europei e così possa essere varata una colossale amnistia (o qualche altro potente ammorbidente ancora da inventare) nel mondo nostro del pallone, caviale e champagne al posto di tarallucci e vino, ha (purtroppo) valenza realistica. Quella persona per bene di Prandelli forse contava su altro carburante etico e su più alti valori psicologici, ma a questo punto tutto può aiutarlo senza neanche fargli troppo schifo.
Quanto al pensare che possa esistere un risvolto positivo in tutta la faccenda, col trionfo della giustizia e la gogna dei colpevoli, si tratta secondo noi di ragionamento insieme divertente e triste. Il male è vasto, come sempre noi italiani siamo i migliori nella gara a chi è peggiore, e chissà che non si vinca anche la corsa al brevetto: puntate di denaro italiano e non solo eseguite su una piazza lontanissima ed anche su partite di scarso valore, visto che ormai si scommette sui gol, non sull’esito del match; giocatori coinvolti del tipo medio e anche mediocre, meno ricchi quindi corrompibili con relativamente poco; coinvolgimento di tanti perché il “così fan tutti” è stato alzato da noi a religione, reputando che il guano spalmato a velo su vaste superfici di pane possa sembrare marmellata.
Abbiamo raccolto anche presso magistrati esperti di cose del pallone un senso di soddisfazione per quanto conseguito con le indagini e però pure di timore per la sempre più spinta sofisticazione delle comunicazioni, nell’era di Internet: fra poco skype sostituirà il telefono, e intercettare skype è un problemaccio. Non è né triste né divertente l’ipotesi di azzerare il calcio dei troppi soldi, con una sorta di catarsi indotta anzi comandata. A parte che a Singapore scommettono anche sul nostro campionato semipro, far digiunare i più perché una minoranza nuota nel grasso ci pare eccessivo. Il fair play finanziario idealizzato da Platini è teoricamente splendido, ma sono già all’opera sceicchi e magnati assortiti per fregarsene e fregarlo.
E allora? E allora non resta che battersi, lottare, non tanto per cambiare il mondo quanto per non cambiare noi stessi e poter così passare davanti allo specchio senza avvertire il dovere di autosputarci addosso. La famosa faccenda della coscienza pulita, insomma. La corruzione quando c’è tanto denaro concimato da tanti interessi (e viceversa) è fisiologica, è inevitabile, anche in tutto il resto del mondo. Bisogna lottare per lottare, non per vincere. Casomai lottare per circoscriverla, e quando si può punirla. Nessuno si illude che il crimine, la mafia, la droga, la corruzione possano essere entità sconfiggibili, men che mai che il male tutto possa sparire dal mondo, «soffocato» dal bene. Però bisogna sempre andare contro il crimine, la mafia, la droga, la corruzione, il male tutto, molto semplicemente per essere degni di chiamarci uomini. Anche nel calcio, anche partendo da una sfera di cuoio che per molti beati poveri di spirito (poveri nello spirito, non poveracci: casomai il contrario) è un mondo.
© 2012 La Stampa. Tutti i diritti riservati
SU