Metamorfosi montiane e riti politici

Forse il cambiamento culturale degli italiani, auspicato dal premier Mario Monti, stenta a realizzarsi. Intanto procede spedito quello del presidente del Consiglio da "tecnico" a "tattico", come scriveva ieri Mattia Feltri in un bell'articolo sulla Stampa nel quale faceva notare come in breve tempo Monti abbia imparato a sapersi destreggiare con abilità fra le citazioni di Andreotti e scegliere quella più adatta all'attualità del rito politichese. Mentre La Stampa era ancora fresca d'inchiostro, arrivava da Tokyo una conferma della velocità nella metamorfosi montiana.
Non più l'uso sapiente dei motti andreottiani per rovesciarne il senso, ma l'utilizzazione degli stilemi berlusconiani con imprevedibile aderenza. Da Tokyo il presidente del Consiglio fa sapere che nei sondaggi la gente è con il governo e su questo si basa la sua determinazione politica nell'andare avanti. A parte il fatto che non è che sia proprio così, e in questo c'è una inquietante somiglianza con certe sortite del Cavaliere, non può sfuggire il ribaltamento rispetto al criterio «Siamo qui per fare un lavoro ben fatto, se non interessa ce ne possiamo andare». Quello era, tre giorni fa, un tono un po' sprezzante ma rispettoso delle prerogative parlamentari e nel contempo raffigurazione di una idea severa di politica. Questo di Tokyo suona innegabilmente diverso. Ciò detto, l'equiparazione col Cavaliere è comunque relativa. Non vedremo mai Monti vestito come uno "chansonnier". Almeno, credo.
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