La mattina della bomba che spezzò l’Italia

Un solo errore. Bologna 2 agosto 1980 è il titolo del documentario che racconta l’orribile strage compiuta la mattina di quel giorno, alle 10.25, con ottantacinque morti e duecento feriti. Firmato da Matteo Pasi, classe 1978, è il risultato di tre anni di ricerche fatte dall’Associazione Pereira, di cui il regista fa parte, che produce documentari e lavora nelle scuole. Gli autori hanno scavato negli archivi dell’associazione dei famigliari delle vittime «2 agosto 1980», e in quelli Rai, portando alla luce molte immagini mai viste finora. Alcune si fanno leitmotiv come un treno che sta per entrare nella stazione, dei passeggeri al finestrino aperto, una ragazza che intreccia i capelli lunghi: è estate, si respira aria di vacanza, molti sono giovani e spensierati. Finché lo schermo si fa buio …
«Quella Mambro mi pare e quel Fioravanti mi sembra, non ne hanno colpa perché io credo sia stato un mozzicone di sigaretta che è stata lanciata, c’è stato un surriscaldamento ed è esploso, perché la bomba, se c’era la bomba, ma qualche frammento si sarebbe trovato, no?». Licio Gelli ha un tono cinico, e provocatorio sull’espressione un po’ sonnecchiosa. «La memoria è qualcosa di strano, nel tempo si ossida», continua il capo della P2 seduto nella sua poltrona di Villa Wanda, lasciando nel vago le proprie affermazioni, ma non senza accennare al fatto che erano stati loro, ai tempi, a nominare i responsabili dei servizi segreti. Queste dichiarazioni (raccolte da Massimo Venieri, cofirmatario della sceneggiatura con lo stesso Pasi, Gabriele Nicoletti e Christian Nasi) arrivano a metà film, dopo che abbiamo già sentito le testimonianze di alcune vittime, allora giovanissime, che senza retorica ci dicono come sono andate avanti le loro vite, spezzate per sempre quella mattina. A queste si intreccia il racconto dei soccorsi immediati da parte di tutti, della gente comune, e c’è chi afferma: «Se non ero a Bologna, quel giorno sarei morto».
«Il solo errore» lo dice alla fine Lidia Secci, madre di Sergio, morto qualche giorno dopo, e moglie di Torquato Secci, che ha fondato l’Associazione all’indomani dell’assoluzione di tutti per la strage di Piazza Fontana, in modo da far compiere a tanti che come loro avevano perso parenti, il necessario passaggio dalle reazioni emotive personali a un percorso civile comune verso la denuncia e la ricerca della verità giudiziaria. Dice Lidia Secci, che «un solo errore l’hano fatto quelli che hanno piazzata, la bomba, aver scelto Bologna come obiettivo». Una città, che non si è fatta piegare, anzi, e che ha messo in moto da subito una macchina alla ricerca della verità. Nonostante tutto. E continua a farlo.
Quasi da subito, nella narrazione filmica, appare anche un’immagine disegnata, colori giallo-neri in una luce quasi accecante: due uomini seduti, uno di fronte all’altro, come in un dialogo. Una voce off parla con tono arrogante, di quanto è stato trattato bene, che ha fatto un figlio, molte parole critiche e opinioni contrarie rispetto agli altri racconti. Comprendiamo che si tratta di Valerio Fioravanti quando i commenti si fanno più precisi rispetto all’attentato e soprattutto a Paolo Bolognesi, attuale presidente dell’Associazione definita «molto politicizzata perché lui ha perso solo la suocera e non è una gran perdita».
Sull’immagine da graphic novel verso la fine del film appare la scritta: «Dichiarazioni di Fioravanti, doppiate sulla base di registrazioni audio originali». Matteo Pasi spiega di averlo incontrato nel 2010, a Roma, nella sede di Nessuno tocchi Caino, dove lui lavora, ma l’audio dell’intervista si è rivelato inutilizzabile per problemi tecnici. Viene un dubbio, però: come mai tutte le altre interviste sono perfette? Era forse una registrazione nascosta, e per questo venuta male? A dire del regista, è stata anche una scelta artistica, doppiarlo, e usare il disegno per creare uno spazio onirico di fronte a quella realtà terribile affinché potesse trovare posto la domanda: «Perché? Come può un essere umano arrivare a tanto?» L’effetto prodotto è di uno stacco netto con una crudele realtà storica; forse si vuole rispecchiare quella dimensione del non detto, che ricopre tuttora il mistero di chi ha ordinato quell’attacco alla democrazia?
Nel collage di interviste a giornalisti e magistrati (da Gigi Marcucci a Carlo Lucarelli, da Libero Mancuso a Claudio Nunziata) che hanno indagato per anni, si accenna ai vari depistaggi, processi, alle assoluzioni e alle (uniche) condanne per Francesca Mambro e Fioravanti dei Nar come esecutori, che è anche l’unica condanna nella lunga storia delle stragi italiane e degli anni della strategia della tensione.
Nelle parole di alcuni ci sono allusioni anche al possibile collegamento con l’operazione Stay Behind, messa in atto in modo non proprio democratico dalla Nato nel nostro paese (con l’organizzazione Gladio) per impedire l’affacciarsi di governi comunisti negli anni sessanta e settanta. D’altro lato colpisce non poco, anzi fa riflettere molto, quella sequenza con studenti interpellati sulla strage che rispondono: il 2 agosto 1980, era la strage di Marzabotto? Erano le Brigate Rosse? Tanta ignoranza (voluta? da chi?) può solo essere considerata complice di un disegno siffatto di copertura delle vere responsabilità.
Uno degli obiettivi, e motivi, per realizzare questo progetto (i fondi, pochi, sono di Arcoiris.tv e dell’Associazione Paolo Pedrelli, con consulenza della Cineteca di Bologna) da parte dell’Associazione Pereira è anche di portarlo nelle scuole. Un solo errore. Bologna 2 agosto 1980 si vdrà per la prima volta sul megaschermo in Piazza Maggiore lunedì 30 luglio.
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