Martinazzoli. Il ciclo della seconda Repubblica

Dalla Rassegna stampa

La scomparsa di Mino Martinazzoli, L'ultimo segretario della Democrazia Cristiana e fondatore nel gennaio 1994 del Partito popolare italiano, ha riportato d'attualità una riflessione in chiave politica e storiografica sulla fase di passaggio (1992-1994) tra la prima e la seconda Repubblica e soprattutto sulle scelte (e gli errori) che favorirono l'ascesa al potere di Silvio Berlusconi. Infatti, pur non dimenticando i caratteri assolutamente originali di quel periodo (Tangentopoli e fine della guerra fredda), una rivisitazione di quegli anni può fornire numerosi spunti di analisi critica e autocritica, certamente utili per il dibattito dei prossimi mesi, in particolare, in ordine, alla strategia migliore per chiudere definitivamente l'età berlusconiana.

A differenza degli stati maggiori del centro e della sinistra, infatti, Berlusconi comprese alla perfezione pregi e difetti del maggioritario inaugurato con le elezioni del 1994. 11 Cavaliere si mosse con spregiudicatezza nel sistema politico "terremotato" da Tangcntopoli e adottò una tattica di marketing politico-elettorale pressoché perfetta: un'alleanza variabile su base territoriale (con la Lega al Nord e con An al Sud) che gli permise di vincere nettamente: 58,1 cento dei seggi alla Camera c 49,5 per cento al Senato. Nella memoria collettiva e così rimasto il ricordo di un vero e proprio "trionfo" dell'uomo nuovo della politica italiana, capace, partendo dal nulla, di conquistare la maggioranza degli italiani. L'analisi dei freddi numeri usciti dalle Lune ci restituisce, invece, una ben diversa realtà storica. I partiti (forza. Italia, Lega, An, Ccd, Udc, lista Pannella) che in forme diverse sostenevano Berlusconi, infatti, ottennero alla Camera (scheda proporzionale) 17.914.750 voti (pari al 46,4 per cento), contro i 13.244.673 (34,3 per cento) dei "Progressisti" (Pds, Rifondazione comunista, Verdi, Psi, Rete, Alleanza democratica). I centristi del "Patto per l'Italia" (Partito popolare e patto Segni) raggiunsero i 6.064.210 di voti (15,7 per cento), mentre le altre liste si fermarono a 1.373.490 (3,6 per cento). Berlusconi, perciò, fu eletto presidente del Consiglio senza aver avuto il consenso della maggioranza assoluta degli italiani: il centro e la sinistra ebbero oltre 1,3 milioni di voti in più.

Su Occhetto e sui disastri della «gioiosa macchina da guerra» dei progressisti molto è già stato scritto e detto, mentre meno analizzati sono stati i contorni del «disastro» politico e organizzativo del centro nelle elezioni del 1994. Nei collegi maggioritari della Camera,infatti, i già menzionati 6 milioni di voti del "Patto per l'Italia" (15,7%) produssero la miseria di 4 seggi (lo 0,8% del totale!), mentre al Senato con un risultato in termini percentuali di poco superiore (16,7%) i seggi conquistati furono solamente 3 (1 ' 1,3% del totale). Grazie al recupero nella quota proporzionale, alla fine, il Patto per l'Italia ottenne 46 deputati (7,3% della Camera) e 31 senatori (il 9,8% di Palazzo Madama). Una simulazione dei risultati nei 475 collegi uninominali, compiuta da due valenti studiosi (Roberto D'Arimonte e Stefano Bartolini), ha dimostrato che se nelle elezioni del 1994, il centro si fosse alleato coni progressisti la storia d'Italia sarebbe radicalmente cambiata. Un alleanza di centro-sinistra, infatti, nella quota maggioritaria della Camera, avrebbe conquistato 256 seggi (88 deputati in più rispetto agli eletti reali) contro i 215 (meno 87) della coalizione berlusconiana.

La storia ovviamente non sì fa con i "se" e indubbiamente le difficoltà e gli ostacoli che si frapposero al "matrimonio" tra centro e sinistra nel 1994 furono numerosi e profondamente radicati nell'opinione prevalente di entrambi gli elettorati di riferimento e sarebbe, quindi, ingeneroso non tenerne conto incolpando oggi di mancanza di coraggio i protagonisti dì quella stagione. Resta il fatto oggettivo, però, che con un maggior grado di generosità politica e comprensione della tattica degli avversari, si sarebbe, forse, potuto arrivare con due anni di anticipo a quell'intesa che nel 1996 consentì all'Ulivo e a Prodi di vincere, sconfiggendo (temporaneamente) Berlusconi, i suoi alleati, le sue strategie di marketing a tavolino e le sue televisioni. Potrebbe,dunque, valere la pena ripassare i risultati elettorali del 1994 per provare, magari, a evitare di ricadere - a sinistra come al centro nella pericolosa trappola dell'autosufficienza e, soprattutto, nell'errore esiziale di sottovalutare i caratteri e le conseguenze dei diversi sistemi elettorali.

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