Marciare divisi, colpire uniti La tentazione Pd su Fini e Casini

Dalla Rassegna stampa

 

Marciare separati (alle elezioni) e poi colpire uniti in Parlamento? Oppure marciare uniti ma rischiare di separarsi da pezzi importanti di elettorato? Il nuovo campo delle forze anti-berlusconiane ha un problema enorme: come fare fronte comune senza passare per un'altra armata brancaleone, regalando a Silvio Berlusconi la possibilità di vincere perla quarta volta le elezioni e prenotare il Quirinale.
Regalo doppio, perché è legittimo sostenere che il Cavaliere è in questo momento minoranza nel paese. Nonostante la doppia fiducia incassata dal premier tra Camera e Senato, è infatti incontestabile un dato: dalla discesa in campo del 1994 non è mai stato così ampio il fronte delle forze politiche ostili a Berlusconi. In caso di elezioni a marzo, si troverebbe infatti contro non solo il centrosinistra, o quel che ne rimane dopo la disastrosa esperienza dell'Unione, ma anche spezzoni di centrodestra che, tra alti e bassi, lo hanno accompagnato negli anni della sua avventura politica. x alleati, o che stanno per diventare tali, accomunati dall'obiettivo di disarcionarlo: i centristi di Pier Ferdinando Casini, i futuristi di Gianfranco Fini, gli autonomisti siciliani di Raffaele Lombardo.
A Berlusconi - tolti i nuclei familiari di Vincenzo Scotti e Francesco Pionati - non restano che la Lega di Umberto Bossi e la fiammella di Francesco Storace. Ma c'è modo di mettere insieme nell'arco di pochi mesi le ansie terzopoliste di Casini, il neogollismo finiano e il nuovo corso bersaniano? E Di Pietro? E Vendola? Dotare di una strategia condivisa l'opposizione reale e quella di fatto è una priorità di cui deve farsi carico in fretta soprattutto il Pd, il partito più grande, e anche quello che rischia di più in questo scenario. Perché il possibile asse Fini Casini è al tempo stesso una sponda e una minaccia, dal momento che mette in campo una proposta politica in grado di contendere consensi alla sinistra. È ovvio che, in una situazione ordinaria, un grande partito della sinistra riformista dovrebbe puntare a costruire la propria coalizione e a governare il paese senza preoccuparsi di trovare accordi e convergenza con forze del campo opposto.
Ma è altrettanto ovvio che, se davvero si voterà a e condizioni re a un risultato del genere non ci sono. E un partito come il Pd deve preoccuparsi non solo di sbarrare la via del Quirinale a Berlusconi, ma anche di non finire fare da terzo incomodo dell'arco parlamentare. Realisticamente,le opzioni in campo sono due. La prima è l'alleanza "repubblicana" - o Santa, come preferisce definirla qualcuno - di tutte le forze intenzionate a chiudere la stagione della Seconda Repubblica. Uno schieramento il più ampio possibile (anche se nel Pd c'è chi preferirebbe tenerne fuori Di Pietro e Vendola), che andrebbe offerto al giudizio degli elettori senza millantare una coesione politica e programmatica impossibile, ma presentandolo per quel che è: un patto costituente individua nel superamento del berlusconismo la fondamentale per uscire dal pantano istituzionale, gestire economica e le nuove regole del gioco, a da una nuova e decente legge elettorale.
La seconda è quella che, con una buona dose di realismo, considera impossibile una coalizione «da Fini a Vendola» e quindi suggerisce di puntare tutto sulle gabole della legge elettorale: se alle urne si presentano tre poli (Pdl-Lega, Udc-Fli, Pd-ldv-Sel), il Cavaliere avrà anche buone chance di conquistare il premio di maggioranza alla Camera, ma può scordarsi di avere i numeri al Senato. Una situazione di stallo che, magari, potrebbe legittimare quelle soluzioni tecniche oggi impraticabili e cioè un esecutivo che metta all'ordine del giorno l'agenda di cui sopra. Il Pd dovrebbe produrre il massimo sforzo per realizzare la prima soluzione, anche a costo di accettare qualche sacrificio nella composizione finale della coalizione. Perché l'alleanza "repubblicana" potrebbe puntare a vincere, e non solo a paralizzare l'avversario. Perché sarebbe la giusta risposta alla sfida plebiscitaria di Bossi e Berlusconi. Perché il Pd avrebbe l'occasione di diventare il perno dell'esecutivo chiamato al varo della Terza Repubblica.

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