La marcia dimenticata

Mancano un fazzoletto di giorni, dal giorno di Pasqua, sedici appena. Sedici giorni per dare letteralmente corpo alla riuscita della seconda Marcia per l’Amnistia, la Giustizia e la Libertà, per un’organizzazione come quella radicale, priva di risorse e che non può contare sulla compiacente “pubblicità” dei mezzi di informazione, è “missione” quasi impossibile. Irene Testa, che con altre compagne e compagni coordina il lavoro preparatorio per questo importante appuntamento, da ostinata sarda qual è, la volge in positivo: “Che il tempo a disposizione fosse poco, ce lo siamo detto fin dal principio, ma questo non più e non oltre che un ostacolo, si può invece utilizzarlo come stimolo per concentrare al meglio le nostre forze/risorse”.
Irene è convinta, e noi con lei, che sia comunque possibile farcela, “ma solo se si riesce ad avere uno scatto da parte di tutti, e se quella che dovrebbe essere la priorità per tutti, non si riduce, come spesso accade ad essere la priorità di Marco Pannella e di pochi altri…”.
Ecco. Meglio non si potrebbe dire. La rassegna stampa di oggi non offre molto; un lungo articolo di Eleonora Martini sul “Manifesto”, che fornisce un quadro completo della situazione non solo delle carceri, ma della giustizia, e il “virus” che l’Italia esporta in Europa. Per ora la Marcia e i suoi obiettivi, le sue ragioni, sono “condannate” a giornali valorosi ma di nicchia: il “Manifesto” oggi; e nei giorni scorsi “L’Opinione”; “Gli Altri”, “Il Riformista”, “Europa”.
Eppure a scorrere la lista, ancora in via di formazione, dei promotori e degli aderenti, anche solo dal punto di vista giornalistico ce ne sarebbero di spunti su cui lavorare: a cominciare dalle tre “capilista”, Ilaria Cucchi, Silvia Tortora e Lucia Uva, le loro tre storie, diverse eppure “comuni”. La nutrita “pattuglia” di religiosi, quelli sì veri credenti, che hanno poca dimestichezza con le trame e i veleni delle gerarchie vaticane, ma moltissima con i problemi e le tragedie della “sommersa” società civile. Ci sono i garanti dei detenuti e i dirigenti degli istituti penitenziari, chiamati “per legge” a spietati doveri, e che tuttavia rivendicano il loro diritto ad affermare quello che impone la loro coscienza, e ci dicono che quello che “per legge” devono fare, gli ripugna, e che altro occorre e si deve fare. Ci si potrebbe chiedere cos’abbiano mai in comune il direttore dell’organo “ufficioso” di Comunione e Liberazione “Tempi” e un ventaglio di parlamentari che va dal PdL-CL Renato Farina a Jean Leonard Touadi del PD; da Ermete Realacci, PD con spiccate sensibilità ambientaliste a all’ex ministro del governo Berlusconi Anna Maria Bernini; e via così. E i tanti commentatori, titolari di rubriche, editorialisti, che quotidianamente ci spiegano questo e quello, avrebbero materia per le loro riflessioni di consenso, di perplessità, di dissenso. E scelgono invece, loro e i loro direttori, il silenzio.
Coloro che sono perplessi o contrari all'iniziativa e alle proposte indicate dai radicali, cosa offrono in cambio? O ritengono che la situazione sia ulteriormente sopportabile, che non sia così grave come dicono tutti? Abbiamo il diritto di chiederlo, hanno il dovere di dircelo.- Perché, ha ancora ragione Irene Testa, "non dobbiamo aspettare, come già ha annunciato, che Marco Pannella passi allo sciopero della sete, per essere poi investiti dell'emergenza e non sapere come essergli davvero d'aiuto". Anche perché davvero, mai come questa volta, aiutare Pannella significa aiutare tutti noi ad uscire dalla mortifera sabbia mobile in cui siamo impantanati. Se si vuole si può; se si può si deve.
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