La marcia anti-aborto con la benedizione del Papa

Dalla Rassegna stampa

Le grandi croci si confondono tra i palloncini colorati, i cartelli contro l’aborto e la legge 194 («Vergogna da cancellare») si mescolano con gli enormi striscioni delle sigle più disparate, da quelli di Azione Katéchon a Milithia Christi, da Forza Nuova agli obiettori, farmacisti e medici. E poi suore, preti e frati, boy scout, famiglie con bambini, passeggini, tanti italiani e molti stranieri. Si cammina e si canta e i cori somigliano a quelli da stadio: «Ogni aborto è un bambino -morto», «Ma quale diritto, quale libertà. Ogni aborto è un’atrocità», «Chi non salta non è di Maria». I numeri sono ancora molto lontani da quelli che la “March for life” di Washington riesce a mettere ogni anno in campo, ma anche ieri, per le strade di Roma, nella terza edizione italiana della “Marcia per la vita” i manifestanti erano decine di migliaia. Trentamila, dicono gli organizzatori che, anche quest’anno, nella seconda domenica di maggio (festa della mamma) e nel doppio anniversario del referendum sul divorzio (12 maggio 1974) e della morte di Giorgiana Masi (la studentessa uccisa durante gli scontri con la polizia il 12 maggio 1977), hanno dato vita a una manifestazione che si è snodata per le strade di Roma, dal Colosseo a Castel Sant’Angelo. «Sappiamo che possiamo vincere questa dura lotta perché contiamo sull’aiuto di Dio», sottolineano gli organizzatori dal palco prima della partenza. L’obiettivo finale, per la maggioranza di chi è in piazza, è l’abrogazione della legge che regola l’aborto, introdotta in Italia nel 1978 e confermata da un referendum nel 1981. Da piazza San Pietro, arriva la benedizione di Papa Francesco che, nel corso del Regina Coeli, manda un saluto ai partecipanti: «Bisogna mantenere viva l’attenzione sul tema così importante del rispetto della vita umana sin dal momento del suo concepimento. Va garantita protezione giuridica all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza». In piazza c’è Jeanne Monahan, presidente della March for Life di Washington, c’è il cardinale Raymond Burke e ci sono i politici italiani, da Maurizio Sacconi (che invita il governo a una «moratoria sui temi etici per evitare rischi alla sua stabilità») a Giorgia Meloni, da Maurizio Gasparri a Carlo Giovanardi, fino al sindaco di Roma, Gianni Alemanno che interviene dal palco e poi suggerisce che siano Parlamento e commissioni, e non l’esecutivo, ad affrontare il tema della eventuale modifica della 194. Con lui polemizza il suo avversario di centrosinistra alle Comunali del 26 e 27 maggio, Ignazio Marino, che prima annuncia la sua assenza dalla Marcia «per non strumentalizzare politicamente un’iniziativa giusta» e poi precisa: «La posizione di uno Stato laico è e deve essere in difesa della vita e della dignità delle donne anche nelle scelte più difficili».

E mentre da una parte si snocciola tutto il repertorio pro life («No aborto, divorzio, convivenze, eutanasia») e si alzano cartelli con il viso di Eluana Englaro «vittima innocente dell’eutanasia», a poche centinaia di metri in linea d’aria un gruppo di attivisti di Sel, Radicali e collettivi di femministe protesta contro la Marcia: «Libere di scegliere», scrivono sui loro manifesti. Mentre da Campo de’ Fiori raggiungono il Lungotevere, ricordano l’omicidio ancora senza colpevoli di Giorgiana Masi che, a 19 anni, nel ‘77 era in piazza per festeggiare la vittoria al referendum sul divorzio e venne raggiunta da un proiettile durante gli scontri con la polizia. Del contro-corteo resta un cartello attaccato a un palo: «Se rendi illegale l’aborto non fermi la pratica, la rendi solo più rischiosa».

 

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