Marchionne: "Ora un nuovo patto sociale, su Melfi corretti ma aperti a una soluzione"

Dalla Rassegna stampa

Parla di globalizzazione e del mondo che cambia rapidamente, cita Mandela, Hegel, Pavese e Machiavelli, dà consigli ai giovani per il loro futuro; ma non volendo «ignorare le accuse mosse a Fiat», né «evitare i problemi» si dice costretto a dedicare una parte del suo intervento al meeting di Rimini a un «livello più locale», Cioè all'Italia e in particolare alla vicenda Melfi. La platea però non pare soffrire per il cambiamento di programma e riserva a Sergio Marchionne la dose di applausi delle grandi occasioni, più qualche incitamento extra del tipo «Sergio non mollare».
Nel merito, il messaggio dell'amministratore delegato della Fiat è piuttosto chiaro e netto. All'Italia in cui «manca la voglia e c'è paura di cambiare» propone «un grande sforzo collettivo, un patto sociale per condividere le responsabilità e i sacrifici». Sulla vicenda dei tre operai reintegrati fa notare puntigliosamente che l'azienda ha rispettato la legge, e andrà avanti in un progetto, quello di Fabbrica Italia, che «nasce dal cuore e non da un calcolo di convenienza»; allo stesso tempo accetta le parole del presidente Giorgio Napolitano «come un invito a trovare una soluzione».
Marchionne utilizza la propria esperienza personale (il trasferimento in Canada a 14 anni, poi gli spostamenti per studio e per lavoro da una città all'altra e da un Paese all'altro, fino al rientro in Italia nel 2004) coane esempio di flessibilità e di apertura al futuro, pur nelle difficoltà di adattamento; e propone questo modello anche quando ricorda di aver trovato al suo arrivo alla guida della Fiat «una struttura immobile che prendeva come base i propri risultati invece che il confronto con la concorrenza». Flessibilità e velocità di reazione sono «l'unica arma» in un mondo complesso in cui è impossibile prevedere in anticipo quel che accadrà. Da qui all'attualità il passo è breve.
La Fiat che si è saputa rimettere in gioco arrivando anche a conquistare la Chrysler, e che ora vuole investire 25 miliardi in Italia «anche se sarebbe più conveniente lasciare la Panda in Polonia» fa parte di coloro che «guardano avanti e si lasciano alle spalle i vecchi schemi» ; con lei ci sono i lavoratori che hanno accettato l'intesa di Pomigliano e i sindacati schierati su questa linea (Marchionne cita esplicitamente, ringraziandoli, i segretari di Cisl e Uil, Bonanni e Angeletti). Dall'altra parte stanno quelli che «si ostinano a proteggere il passato». che guardano la realtà «con la lente deformata del conflitto» (cioè quello superato capitale e lavoro) e «usano il diritto di pochi per piegare il diritto di molti».
Entrando ancora di più nello specifico delle «accuse assurde e infinite polemiche» che coinvolgono il Lingotto, l' amministratore delegato si dichiara non disposto a «tollerare gli illeciti che arrivano fino al sabotaggio», difende la decisione «non popolare» di reintegrare i tre operai ma senza farli lavorare (decisione che «rispetta la legge»), si augura che «il secondo grado di giudizio sia meno condizionato dall'enfasi mediatica». Conferma insomma in pieno, con le sue parole dirette fino alla ruvidezza, la linea scelta dall'azienda. Il momento per qualche tono un p& più conciliante, arriva alla fine del discorso, quando sollecitato dalle domande, Marchionne commenta la presa di posizione di Napolitano ed anche quella di Guglielmo Epifani, leader della Cgil, che ha chiesto una riapertura dei dialogo. «Ho grandissimo rispetto per il presidente della Repubblica come persona e per il suo ruolo istituzionale - spiega - accetto quello che ha detto come un invito a trovare una soluzione". E si dichiara anche «assolutamente disponibile» a parlare con il segretario della Cgil «una persona che rispetto e che ha un profilo intellettualmente onesto». Però, è l'avvertimento, «bisogna accettare la sfida, saltare sul treno prima che lasci la stazione, invece di dire sempre no».

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