Il malessere del Parlamento e il piccolo segnale sulle riforme

Dalla Rassegna stampa

La frase di Giorgio Napolitano sul cattivo funzionamento del Parlamento («vedo grosse difficoltà») lascia capire qual è il vero problema della legislatura. Non certo le elezioni anticipate, che sono in teoria un'arma politica nelle mani del capo della maggioranza, cioè di Berlusconi, ma in pratica non sono realizzabili. Soprattutto per l'evidente ostilità del mondo produttivo («sarebbero una follia» secondo la presidente della Confindustria), la netta contrarietà della Lega, la resistenza passiva di un numero imprecisato, ma consistente, di deputati e senatori.

Con saggezza, il presidente del Consiglio ha preso atto della realtà. Ma la questione non finisce qui, nel senso che il capo dello Stato, come ci fa sapere egli stesso dalla Turchia, intende ora occuparsi da vicino di una questione delicata e spinosa: la paralisi, o se si vuole il sostanziale esautoramento delle due Camere.

È un tasto dolente su cui sono intervenuti più volte lo stesso Napolitano e il presidente della Camera Fini. E non è forse un caso che il tema sia evocato di nuovo proprio adesso che lo psicodramma delle elezioni è svanito all'orizzonte, come era prevedibile. In qualche misura, il Quirinale ha voluto ricordare a tutti qual è l'agenda delle priorità. Di fatto il presidente della Repubblica, che pure garantisce di aver dormito «sonni tranquilli» dopo l'intervento del presidente del Senato Schifani sulla possibile fine anticipata della legislatura, ha sollecitato il governo e la maggioranza a rispettare il ruolo del Parlamento. E dunque a non alterare certi equilibri istituzionali quando invece c'è bisogno più che mai di coesione nazionale e di iniziative serie.

Non è esattamente quello che il Popolo della Libertà avrebbe voluto sentirsi dire, tant'è che Fabrizio Cicchitto ha replicato con una punta d'irritazione che le critiche del Quirinale andrebbero rivolte a 360 grandi e riguardare «tutto il quadro istituzionale, amministrativo e politico». Ma è chiaro che dopo le pressioni, sia pure velleitarie, circa lo scioglimento delle Camere, Napolitano non poteva non far sentire la sua voce.

Lo ha fatto nel giorno in cui al Senato tutti i gruppi di maggioranza e opposizione hanno deciso di discutere una mozione del Partito Democratico, firmata da Anna Finocchiaro e Luigi Zanda, che chiede di accelerare il programma di riforme istituzionali: si parla di superamento del bicameralismo, di riduzione del numero dei parlamentari e, più in generale, di ritocchi alla Costituzione.

In parte si tratta di punti su cui esiste già una convergenza «bipartisan», in parte di buone intenzioni. Si tace sui nodi controversi, come la riforma della giustizia, e naturalmente non si dice niente sul presidenzialismo che piace a Berlusconi, sia pure a intermittenza. Ma è un segnale da non sottovalutare. Intanto è un primo, piccolo successo della gestione Bersani: su di una linea che non esaspera la contrapposizione, ma anzi cerca un confronto civile sui temi istituzionali. Tema gradito a Napolitano, come è noto. Peraltro anche un personaggio lontano dal Parlamento come Luca di Montezemolo ieri chiedeva riforme concepite in modo condiviso «e non nell'interesse di una sola persona».

Inoltre, dettaglio da non trascurare, la Lega ha applaudito alla mozione trasversale perché la vede come un aiuto nel tragitto verso il federalismo. Altro che elezioni anticipate.
 

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