Malagodi, liberale doc, per leggere gli anni '60 alla destra della Dc

Dalla Rassegna stampa

Leonardo Sciascia una volta scrisse: «Pirandello chiamava i morti "pensionati della memoria", ma dobbiamo sempre pensionarli di verità, non di menzogna». La saggezza dello scrittore siciliano ci ricorda, insomma, che la maniera migliore per onorare la memoria di una persona è quella di raccontare la verità sul suo conto. Un pensiero di verità, allora, merita anche Giovanni Malagodi, a venti anni dalla sua scomparsa. Perché, proprio in questi giorni, in occasione dell'anniversario della sua morte, non mancheranno le giuste celebrazioni e le attenzioni nei confronti una figura eminente del liberalismo italiano. Giovanni Malagodi, segretario nazionale del Partito liberale (il Pli con la bandiera tricolore) dal 1954 al 1972, fu un liberale doc, vecchio stampo. Per lui votavano gente come Steno, il grande regista amico di Leo Longanesi, o il nonno di Aldo Cazzullo, come spesso il giornalista ha ricordato nei suoi scritti. Malagodi è interessante poi per comprendere la prima fase della Prima Repubblica vissuta da destra, alla destra della Dc. È una prospettiva che aiuta a comprendere meglio i torti e le ragioni del Pli in quella fase così delicata per l'Italia, in cui i liberali di Malagodi, all'interno della partitocrazia e nel difficile contesto della "guerra fredda", tentarono di controbilanciare lo spostamento a sinistra dell'asse di governo. Insomma, il liberalismo di stampo risorgimentale di Malagodi poggiava le proprie convinzioni sulla necessità di restare fedele ai presupposti contingenti di quel momento storico. E così, la scelta di far pendere il piatto della bilancia partitocratica verso destra era giustificata con l'obbligo di mantenere una precisa posizione "centrista", imposta dal quadro politico nazionale e da quello internazionale.

Nei mesi scorsi, è oltretutto uscito nelle librerie un interessante saggio di Giovanni Orsina a lui dedicato: L'alternativa liberale. Malagodi e l'opposizione al centrosinistra. Un libro che riesce a descrivere la storia politica degli anni '50 e '60 dalla prospettiva di un liberale, ossia da parte di chi tentò di perseguire la tattica del quadripartito dentro una immaginaria strategia di centrodestra. Orsina, infatti, affronta la stagione politica del decennio 1953-1963 basandosi sulle carte, finora mai utilizzate, del ricchissimo archivio di Giovanni Malagodi conservato presso la Fondazione Einaudi di Roma. E ne scaturisce la storia dell'Italia repubblicana vista dalla parte del Pli, cioè dalla parte di chi uscì sconfitto dagli anni Sessanta. Anche se, bisogna ricordarlo, alle elezioni politiche del 1963, anno del governo di centrosinistra con Aldo Moro presidente del Consiglio e Pietro Nenni vicepresidente, il Pli raggiunse il 7 per cento dei consensi, cioè il miglior risultato della sua storia. Il merito di Malagodi fu quello di non perdere mai un certo spirito dottrinario che lo spingeva a leggere la realtà come una sfida tra la forza della libertà e i totalitarismi. Fu un teorico che si adattò alla prassi partitocratica, ma lo fece più per necessità che per indole. Malagodi, infatti, riteneva che il pericolo di un regime illiberale potesse venire dall'avanzare della sinistra massimalista molto più che dalla destra, allora missina o monarchica. Un'altra caratteristica della segreteria di Malagodi fu la stretta alleanza con gli interessi di Confindustria. Fin dal primo momento, in altre parole, la leadership di Malagodi provocò sconquassi dentro il Pli, tanto che i dissidi interni portarono presto alla scissione che, nel 1955, diede vita al Partito Radicale. Malagodi si ostinava a guardare la Dc da destra, piuttosto che costruire un'alternativa laica che fosse in grado di essere una "terza forza" tra Dc e Pci. Mario Pannunzio, Scalfari, il giovane Pannella e altri continuarono, fuori dal Pli, a rimarcare con nettezza la loro diversità dalle posizioni di Malagodi. Nel corso del tempo, Marco Pannella si trovò spesso a polemizzare con il segretario del Pli e a scontrarsi con una linea politica che lui riteneva vecchia e troppo accondiscendente nei confronti della Dc. Anche a distanza di anni, il leader radicale ricorda ancora il tentativo di mediazione compiuto da Malagodi per arenare la legge sul divorzio attraverso la cosiddetta "legge Bozzi", cioè attraverso il progetto finalizzato ad abrogare la legge Fortuna. Ii referendum sul divorzio del 1974 fu però una grande occasione in cui gli italiani - e i liberali - si unirono, ritrovando la sintesi. Lo si comprende bene anche oggi, a distanza di quasi quaranta anni. Molto ci sarebbe ancora da scrivere e da dire sulla figura di Giovanni Malagodi e un solo articolo non può certo essere esaustivo. Si è soltanto cercato di dare un piccolo contributo di verità a un grande liberale che morì a Roma il 17 aprile 1991.

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