Mai Più vittime dello Stato

Perché non capiti più. E se proprio deve accadere di nuovo, perché nessuna famiglia sia più sola. Alla vigilia del quinto anniversario della morte di Federico Aldrovandi, il diciottenne ucciso a Ferrara il 25 settembre 2005 durante un controllo di polizia, sua madre, Patrizia Moretti, lancia la proposta di un'Associazione famiglie delle vittime delle forze dell'ordine. «Quando sono coinvolti esponenti dello Stato, le indagini devono partire subito ed essere ancora più approfondite e puntuali. Per la tutela di tutti».
Patrizia Moretti ricorda le prime settimane di dolore e stordimento, quando tutti si affannavano a dichiarare che Federico non era morto per le botte degli agenti. «Questo non lo possono subire le famiglie che hanno già subito la perdita più grave che si possa immaginare. Così duramente colpiti, abbiamo dovuto lottare anche per difendere la dignità di Federico e per avere un minimo di giustizia e verità». Fondamentale per gli Aldrovandi il contributo dell'avvocato Fabio Anselmo: «Senza di lui sarebbe stato tutto insabbiato. Le indagini devono partire subito e non devono essere fatte dai colleghi degli agenti coinvolti». Come è invece accaduto a Ferrara: «Non riuscirò mai a capire cosa sia successo quella notte nella testa dei quattro poliziotti. Però quello che hanno pianificato dopo, all'interno della questura, è gravissimo. Finalmente hanno cominciato a fioccare le condanne anche per quelli che hanno insabbiato. Spero che ce ne saranno altre».
Così, dopo la condanna in primo grado dei quattro agenti coinvolti nella morte di Federico, il ribaltamento in appello delle assoluzioni per la Diaz e Bolzaneto e l'eco mediatica del caso di Stefano Cucchi, la madre di Federico ha pensato che poteva essere il momento buono per far nascere l'associazione: «L'attenzione dell'arte e dell'informazione deve sfociare in qualche azione costruttiva perché queste cose non succedano più». La costituzione effettiva dell'associazione, però, si sta facendo più complicata del previsto: «Non credo che saremo in grado di presentarla ufficialmente il 25 settembre a Ferrara come previsto. Siamo troppi: è impossibile contattare tutti. Stiamo mettendo insieme un nucleo iniziale di persone e alcuni principi condivisi. L'associazione avrà le porte aperte, anche i comitati nati sui singoli casi potranno aderire». In particolare Patrizia Moretti è in contatto con Haidi Giuliani, madre di Carlo, ucciso da un carabiniere in servizio al G8 di Genova; con Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, lasciato morire, pieno di lividi e con due costole rotte, nel padiglione penitenziario del Pertini di Roma; e con Lucia Uva, sorella di Giuseppe, anche lui deceduto in un letto d'ospedale dopo una notte di fermo in una caserma di Varese, tra colpi e grida.
Il 25 settembre parteciperanno al ricordo di Federico anche i familiari di Giuseppe Bianzino, deceduto dopo una notte in carcere, e Gabriele Sandri, ucciso dal colpo di pistola di un agente intervenuto dopo una rissa tra tifosi. L'idea è coinvolgere più persone possibile, «per avere più voce, anche per chi questa voce non l'ha mai avuta». «Con Patrizia e Lucia condividiamo gli stessi principi, la stessa battaglia», ribadisce Ilaria Cucchi. «Quando ho visto Stefano, mi è immediatamente venuto in mente il volto di Federico e l'istinto è stato quello di cercare Patrizia e il suo legale. Senza l'avvocato Fabio Anselmo saremmo ancora fermi alla morte per cause naturali. Quando ti guardi attorno e ti rendi conto che hai ricevuto tanta solidarietà, allora ti sentì di voler fare lo stesso per gli altri. Anche per le famiglie che non hanno la capacità o la forza di andare avanti in una battaglia del genere, perché la giustizia sia un diritto garantito a tutti». Per Ilaria Cucchi la sola esistenza dell'associazione sarebbe «un gesto molto significativo perché le forze dell'ordine sappiano che non sempre c'è l'impunità. L'idea che mio fratello possa diventare in qualche modo il simbolo di un cambiamento mi fa pensare che la sua morte abbia avuto un senso».
Oltre a essere un elemento di pressione per cambiare le cose, l'associazione sarebbe insomma anche un punto di riferimento per altre famiglie che si trovano nella stessa condizione. «Ci sono tanti casi come i nostri che stanno aspettando giustizia e che, come me, non riescono a sfondare questo muro», commenta Lucia Uva, che insiste: «L'associazione è molto importante: le forze dell'ordine devono capire che il loro lavoro lo devono fare in modo onesto e corretto, non ammazzando la gente. Queste mele marce vanno tolte, non è giusto che dopo quello che hanno fatto vadano avanti a fare del male pagati da noi. Io la notte vivo nel terrore che succeda qualcosa ai miei figli o a quelli degli altri». Giuseppe Uva è morto il 14 giugno 2008 ma solo di recente il suo caso è assurto alle cronache nazionali: «Hanno tentato di nascondere tutto quello che è successo quella notte. Io mi sono fatta forza seguendo Patrizia e Ilaria. Sono due anni che non ne vengo fuori. Perché non accetti che chi ci deve proteggere ci faccia questo». «L'idea dell'associazione è giusta perché quel tipo di violenza ha alcune peculiarità», commenta l'avvocato Alessandro Gamberini, che si è affiancato a Fabio Anselmo nei collegi di parte civile per i casi Aldrovandi, Cucchi e Uva. In particolare Gamberini ritiene che l'obiettivo prioritario dell'associazione debba essere «rompere il tabù italiano per il quale i panni sporchi si lavano in famiglia, quindi le indagini sulle violenze commesse da agenti di pubblica sicurezza vengono effettuate da colleghi dello stesso corpo. Potenzialmente produce inquinamenti tanto più gravi quanto più la dimensione del luogo degli avvenimenti è piccola». Inutile, secondo Gamberini, «discettare tanto sulla terzietà del giudice», quando poi si viola, come ha più volte stabilito la Corte europea dei diritti dell'uomo, il principio di imparzialità delle indagini. L'esistenza di un'associazione simile avrebbe anche «un'efficacia preventiva» perché «questi eventi si verificano quanto più c'è impunità». Tra passi avanti e passi indietro, le famiglie delle vittime hanno ancora tanta strada da fare. Sempre in salita, come dimostrano le tante querele accumulate da Patrizia Moretti in cinque anni di battaglie quotidiane e dichiarazioni ai giornali, left compreso. Ultimissima quella presentata da Mariaemanuela Guerra, la prima pm incaricata di seguire il caso Aldrovandi, notificata alla madre di Federico alla vigilia della manifestazione di piazza Navona contro la legge bavaglio. Talvolta, però, arrivano anche le belle notizie, come il film documentario È stato morto un ragazzo. Federico Aldrovandi che una notte incontrò la polizia di Filippo Vendemmiati, presentato alla mostra di Venezia e proiettato in prima nazionale il 25 settembre a Ferrara. «Mi è piaciuto molto - dichiara Patrizia Moretti - perché nella sua chiarezza è implacabile, sempre più incalzante. E perché, oltre a raccontare i momenti fondamentali di questi cinque anni, lascia la memoria di chi era Federico».
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