Maggioritario, adesso

Secondo il direttore Menichini «il tema più grosso e attuale» che Veltroni «salta a pie' pari» è quello del «come liberare l'Italia dal tappo berlusconiano». Da ciò discenderebbe la caratteristica del Pd - di Veltroni quanto di Bersani, pur nelle loro diverse strategie - di essere «partito del dopodomani», cioè mai dell'oggi. La critica in realtà elude gli stessi problemi che elude l'epistola veltroniana agli italiani.
Menichini scrive che «Veltroni è altamente apprezzabile per la coerenza con la quale non si rassegna alla logica della manovra», e sottolinea che Veltroni «rilancia la linea rigorosamente bipolarista». Davvero? Più che la distinzione tra futuro e presente, converrebbe occuparsi di quella tra le parole e i fatti. Walter Veltroni è stato leader e artefice della più smaccatamente berlusconiana delle manovre degli ultimi anni: la "porcata" di legge elettorale, a firma leghista e finalità bipartisan, è stata infatti utilizzata, in pieno concerto con Silvio Berlusconi, per arrivare a una sorta di bipolarismo coatto, fondato sull'alleanza strategica con la Lega da una parte e l'Italia dei Valori dall'altra.
La caduta di Prodi fu la premessa, indispensabile tanto a Veltroni quanto alla destra, per realizzare il progetto con un esercito di parlamentari nominati, che poi per fortuna (e per Costituzione) non sempre marciano agli ordini dei capi. E quando oggi Cicchitto e Calderisi fanno notare come da parte di leader del Pd negli scorsi anni non fossero arrivate parole troppo attente alle prerogative del presidente della Repubblica, non si può dar loro torto. Per restare al divario tra le parole e i fatti, rispetto alla linea «rigorosamente bipolarista di Veltroni», va fatto notare come nei programmi elettorali del Partito democratico ci fosse il maggioritario alla francese, ma che mai e poi mai il partito - che fosse sotto la guida di Veltroni, di Franceschini o di Bersani - abbia preso una sola iniziativa in questa direzione.
Ecco perché la critica del direttore mi pare quantomeno incompleta. Presentare agli italiani una proposta di profonda riforma degli assetti istituzionali sarebbe la premessa indispensabile per «presentarsi come alternativa a Berlusconi», come chiede Menichini, a meno di accettare l'illiberale e consociativo schema delle riforme "condivise", cioè condivise tra i principali partiti Berlusconi incluso, come da un ventennio a questa parte accade su altri passaggi fondamentali, dal conflitto d'interesse ai rapporti con Libia e Russia, dalla gestione fuorilegge delle televisioni alle candidature bipartisan di D'Alema in Europa. Naturalmente non pretendo che tale lettura, alla quale i Radicali hanno accompagnato scontri anche durissimi con il Pd e i suoi antenati, possa essere fatta propria dai Democratici, anche se un minimo di dibattito su questi passaggi farebbe bene anche a loro.
Mi limito però a notare che se davvero il Pd mettesse in campo nei fatti - cioè attraverso un'iniziativa politica con ambizione di raggiungere l'opinione pubblica - una proposta di riforma fondata sul collegio uninominale maggioritario, tale proposta avrebbe apparentemente il limite di essere per il "domani", ma in realtà parlerebbe oggi e subito a quella stragrande maggioranza di italiani che continuano a essere favorevoli addirittura al sistema elettorale e istituzionale "americano".
Gli effetti sul quadro politico italiano sarebbero immediati, sgomberando il campo dall'idea che pur di liberare l'Italia da Berlusconi si accetti la restaurazione proporzionalistica, ma anche che si accetti una nuova sciorciatoia bipolarista a colpi di Costituzione materiale e elezioni anticipate, con annesso uso eversivo delle televisioni (si può ri-fare?). Spiegare alla gente che si vuol dare loro il potere di scegliere il rappresentante del loro territorio è il passo fondamentale, più che per far «saltare il tappo berlusconiano» (obiettivo prettamente declamatorio, che di sé è servito finora a compattare minoranze nel migliore dei casi, e a coprire manovre e inciuci nel peggiore), per iniziare invece a far saltare il tappo della burocrazia partitocratica incapace di rispettare la Costituzione, cioè di un sistema che Berlusconi ha ereditato e aggravato, ma non da solo.
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