Mafia modello Graviano

Un tempo li chiamavano "i sollazzi", una rete di magnifiche residenze regali che facevano deliziosa la vita della nobiltà palermitana. A far ombra al resto, secondo la leggenda, il buen retiro dell`emiro Giafar (ma è più probabile sia stato costruito dal normanno Ruggero II, sempre nell`XI secolo): il palazzo di Maredolce, il parco della Favara e un lago artificiale, quaranta ettari d`acqua che sciabordavano dolcemente sull`isolotto centrale, una piccola selva di palme e piante d`agrumi. Boccaccio, trecento anni dopo, ne parlò in una delle sue novelle come d`un paradiso in decadenza. Quella lenta dispersione di bellezza evidentemente non s`è fermata e oggi quel che resta del parco della Favara sta a Brancaccio, quartiere della periferia sud di Palermo e uno degli otto mandamenti mafiosi della città. Il panorama, tra incuria e abusivismo, è parecchio cambiato: invece del lago, da una parte fabbriche e capannoni, dall`altra abitazioni che all`emiro Giafar non sarebbero piaciute affatto. Sullo sfondo lo svincolo per l`autostrada che da anni tenta, sempre invano, di connettere il quartiere con la A19. Oltre che uno spazio fisico, però, Brancaccio si ritrova in queste settimane ad essere pure un luogo dell`immaginario, il regno dei nuovi fantasmi della Seconda Repubblica, i due fratelli Graviano, oggi di scena al processo contro il senatore Dell`Utri per conferma- re, smentire o ignorare i racconti di Gaspare Spatuzza sulla "seconda trattativa", quella tra i corleonesi rappresentati proprio dai boss di Brancaccio e la politica nella persona di Silvio Berlusconi. Ma chi sono i Graviano? Intanto va detto che i due fratelli in realtà sono tre, tutti affiliati a Cosa Nostra, e hanno pure una sorella, Nunzia, anche lei inserita negli affari di famiglia. Pedigree mafioso purissimo, figli di Michele - boss corleonese ucciso durante la seconda guerra di mafia dal (poi) pentito Totuccio Contorno - i Graviano sono stati tutti curiosamente arrestati lontano dalla Sicilia: Giuseppe (classe 1963) e Filippo (1961), i più titolati a livello criminale, nel gennaio `94 al tavolo di un ristorante di Milano; il primogenito Benedetto (1958) l`ultima volta, era il febbraio 2005, mentre passeggiava per piazza di Spagna a Roma; Nunzia (1968, detta a picciridda) la catturarono nel 1999 a Nizza, nel lussuoso residence "Port Azur", dal quale, con parenti e fidati consigliori, gestiva gli affari in mancanza dei maschi di casa. Questa dimensione continentale dei Graviano, unita alla loro capacità di controllare il territorio alla vecchia maniera pur essendone fisicamente lontani - un mandamento importante, peraltro, molto grande e storicamente incline ai rapporti con politica e imprese - sono la traccia d`una peculiarità di questa famiglia: uno strano miscuglio di vecchio e nuovo, di managerialità e antiche abilità da scannacristiani. Non è un caso che Giuseppe, il vero capo della famiglia, noto ai picciotti come "Madrenatura" o "mio padre", sia stato un precoce killer nella guerra di mafia che consegnò Cosa Nostra a Totò Riina: impiegava le sue arti nella "squadra" del giovanissimo Giuseppe Lucchese, campione di kickboxing e assassino spietato, uno che - raccontò Vincenzo Sinagra - a 17 anni aveva strangolato il boss di Brancaccio Giuseppe Abbate e poi partecipato, carcere permettendo, agli episodi più significativi della mattanza degli anni Ottanta. Fu proprio dopo l`ultimo arresto di Lucchiseddu che i Graviano presero il controllo della famiglia di Brancaccio e il nostro divenne "Madrenatura". A quel punto, neanche trentenni, Filippo e Giuseppe - la mente e il braccio secondo la vulgata - comandano senza complessi, s`arricchiscono assai e stanno come assisi nel cuore del sistema mafioso di Riina e Provenzano: quando si tratterà di fare le stragi, molti saranno gli uomini di Brancaccio chiamati a partecipare. I due però, anche solo per motivi anagrafici, restano mafiosi di nuovo conio rispetto ai viddani corleonesi: invece del Vangelo di zu Binnu, tanto per dire, si racconta che ogni giorno sul comodino di Nunzia e Filippo ci fosse Il Sole 24 Ore. Tradizionale mercato della violenza e affari complessi. È il metodo Graviano. Affari talmente complessi da portare il loro immenso patrimonio quasi tutto fuori dall`isola: a Giuseppe nel 2003 e nel 2005 fu addirittura assegnato un avvocato d`ufficio perché nullatenente (poi, dopo nuove indagini, "Madrenatura" fu condannato pure per truffa). Sul finire degli anni Ottanta i Graviano a Brancaccio erano dio: giovani, ricchi, poco inclini alla pazienza e dotati d`una certa propensione per i vestiti firmati e le cose costose. A suo tempo, i due capi, avevano pure un locale notturno sulla spiaggia di Buonfornello, "Le Tours d`Orient": i ricchi clienti, per stare con le entraineuses, dovevano spendere quarantamila lire di consumazione ogni quarto d`ora. Le ragazze - lo ha raccontato Alfonso Sabella, sostituto nel pool di Caselli bevevano solo un cocktail chiamato «il messicano» (zucchero, limone e acqua, così non si ubriacavano), mentre per gli avventori era disponibile addirittura Doni Perignon del 1962. Solo che, sotto l`etichetta, c`era spumante Asti Cinzano. A Giuseppe, poi, piacevano i cavalli: a suo tempo regalò un purosangue da 35 milioni ad un amico, Santo Di Matteo, mezzanasca. Quando quello, però, cominciò a parlare coi giudici, mandò dei killer vestiti da poliziotti a rapirgli il figlio, il piccolo Giuseppe, che al maneggio stava montando proprio il purosangue comprato da Graviano (un paio d`anni dopo Giovanni Brusca ordinerà di «liberarsi del cagnolino» e il bambino verrà strangolato e sciolto nell`acido). Erano «moderni» i Graviano, nello stile se non nella sostanza. Filippo, nel racconto di Spatuzza, è un tizio fissato coi soldi, con la Borsa, tanto da provare a spiegarne i meccanismi persino al suo sottoposto, uno non proprio avvezzo alle sottigliezze della finanza: curiosamente, secondo il neopentito, Graviano diceva meraviglie in particolare di Striscia la notizia, «piccolo investimento, altissimi introiti pubblicitari». Pure internet a un certo punto s`affacciò tra gli interessi dei fratelli: in un colloquio intercettato in carcere - qualche anno prima che Totò Riina avesse un suo gruppo su Facebook - i due discussero con la sorella Nunzia delle potenzialità propagandistiche del web. E sempre la rete era al centro delle attività del primogenito Benedetto quando - appena reintegrato da Provenzano a capo del mandamento dopo la spettacolosa caduta del medico-boss Giuseppe Guttadauro e prima dell`ultimo arresto, nel 2005 - mise su un grosso traffico di droga in joint venture con la ndrangheta: le comunicazioni tra i corrieri infatti, invece che coi "pizzini", avvenivano su una casella e-mail. I fratelli di Brancaccio insomma erano moderni, ma erano pure vecchi. Giuseppe, quand`era già un capo da tempo, non esitò a partecipare all`ammazzatina mancata ai danni di Calogero Germanà sul lungomare Fata Morgana, a Mazzara del Vallo: il vicequestore, era il settembre del 1992, si salvò buttandosi giù dalla sua Panda sparando, ma sarebbe morto se non si fosse inceppato il mitra di Graviano. Vecchi, nel senso di vecchio stampo, i boss di Brancaccio lo sono pure quanto a"valori familiari". La sorella Nunzia, ad esempio, è chiaramente una donna sveglia e istruita, parla inglese, usa il computer, viaggia e ha una certa pratica del mondo, ma è «cosa loro» (come dice anche lei). A Nizza, dove gestiva i cospicui affari di famiglia, s`era innamorata d`un medico siriano e Giuseppe - in un colloquio in carcere che ricorda una scena del Padrino II («Connie, se ti sposi questo mi dai un dolore») - le impone di lasciarlo: «Io sono siciliano, a casa nostra ci sono delle tradizioni, da noi non si usa il divorzio, qualsiasi frequentazione deve essere finalizzata al matrimonio. Ma di che religione è questo?». Lei obbedì. Fossero stati fuori quei due non si sarebbero mai incontrati, ma Giuseppe e Filippo ballarono la loro ultima estate nel 1993, l`anno degli attentati in continente: viaggiarono molto quell`anno, sia con le fidanzate - rispettivamente Rosalia e Francesca - che soli, per divertirsi e pure per lavoro (dovevano scegliere i luoghi da colpire). Lo dicono i tabulati dei loro cellulari e decine di riscontri: a febbraio al Carnevale di Venezia in coppia, poi ad Abano Terme ospiti del proprietario di una tv privata siciliana, a Riccione tra maggio e giugno in un appartamento in affitto. L`inizio dell`estate lo passano in Versilia in una dimora messa a disposizione dal proprietario d`una scuderia e infine, ad agosto, raggiungono Porto Rotondo, in Sardegna, dove hanno a disposizione parte di una grande villa. Fanno un mesetto di «vita smeralda», Giuseppe e Filippo: se li ricordano vestiti Versace, amichevoli coi vicini, imbucati pure in un party organizzato da celebri industriali del nord. Nel frattempo, oltre a insanguinare l`Italia, non dimenticano il cortile di casa: il 15 settembre 1993 Gaspare Spatuzza e Salvatore Grigoli uccidono a colpi di pistola don Pino Puglisi, prete che si permetteva di «parlare contro la mafia» proprio a Brancaccio. «Me l`aspettavo» disse solo don Pino quando vide le pistole. Il 27 gennaio 1994 è il giorno del loro arresto, il 41 bis - il carcere duro - gli è stato applicato dal marzo successivo. Quasi sedici anni fa. Gli ultimi minuti di libertà li hanno passati al tavolo di"Gigi il cacciatore", a Milano, coi conterranei Salvatore Spataro e Giuseppe D`Agostino. Quest`ultimo era «salito» al Nord perché aveva un sogno: far giocare nel Milan suo figlio Gaetano, oggi centrocampista dell`Udinese. I due però, pure in galera, non hanno rinunciato alla loro mafiosità eterogenea: Giuseppe ad esempio, parlando coi radicali Maurizio Turco e Sergio D`Elia nel 2002, si lamentò che il non poter usare computer e walkman gli abbassava la media dei voti universitari in inglese e informatica (poi pare si sia laureato in matematica). Pure Filippo, quello fissato coi soldi, in carcere ha cominciato a studiare: economia, ovviamente. Ma non di sola cultura vive l`uomo e quindi i due Graviano, come ogni buon mafioso a fine latitanza, dalla galera onorarono il loro patto d`amore sposando Rosalia e Francesca.1Non solo. Le nozze sono state pure benedette dalla nascita di due pargoli: uno per uno, entrambi maschi, entrambi chiamati Michele, come il nonno. Solo che Giuseppe e Filippo, al momento dei parti (giugno e agosto del 1996), stavano già al 41 bis da oltre due anni. Le spiegazioni che girano sono due: un deposito di seme fatto poco prima dell`arresto o un avvocato compiacente che porta fuori le provette per perpetuare la dinastia. I due Michele, in ogni caso, vennero poi battezzati a Nizza, in un grande albergo sulla Promenade des Anglais i cui saloni, ha raccontato Attilio Bolzoni, un tempo avevano visto camminare Hemingway e Marlene Dietrich. Cannoli, champagne, un`orchestrina, poche parole delle due mamme: «Peccato che manchino i migliori tra tutti noi». Sulla Cote d`Azur, intanto, s`era trasferita tutta la famiglia (con avvocato al seguito): «La mia nuova casa in Francia deve avere soprattutto tre cucine indipendenti», si raccomandava Rosalia, intercettata dalle microspie, nei mesi in cui Nunzia Graviano controllava gli affari di famiglia e s`innamorava del siriano. «Un giorno potremmo ritrovarci e il mondo, come per incanto, potrebbe colorarsi per noi», scriveva ispirato Filippo a Francesca. Gli anni però passano e la vita non sembra colorarsi per i fratelli. Adesso la loro cosca, a sentire i mafiologi, sembra muoversi in direzione di una piccola, privata trattativa con lo Stato: dissociazione, collaborazione o niente si vedrà. Già nell`estate del 2002 "Madrenatura" fu il primo firmatario della lettera che i detenuti del 41 bis di Novara inviarono agli «avvocati parlamentari» che prima avevano «fatto cassa» coi processi di mafia e, una volta eletti, erano spariti. Oggi i Graviano vanno in scena, il loro potere criminale è ridotto al lumicino, ma non quello politico (il ricatto) e economico. «Neanche cento lire gli avete tolto», continua a ripetere Spatuzza, uomo a cui - checché se ne dica - non manca il gusto per il particolare a effetto: basti dire che l`incontro tra Dell`Utri e i Graviano, secondo il nostro, si svolse al ristorante "L`assassino".
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