Ma la verità resta lontana

Dalla Rassegna stampa

Nella Mosca della perestrojka, dove la cremlinologia tradizionale fu messa in crisi da una valanga di notizie, vere o presunte, Demetrio Voicic distillava gocce di saggezza riassumendo il rovello dei media: «Prima non sapevamo nulla e capivamo tutto, ora sappiamo tutto e non capiamo nulla». I circa 400 mila rapporti militari sulla guerra in Iraq, appena pubblicati dai whistle blowers di Wikileaks, moderna nave pirata dell'informazione, ripropongono il paradosso. Che la rete renda difficilissimo, se non addirittura impossibile tener segreti i segreti, è un fatto. Il problema è se sia il sito creato dall'evanescente Julian Assange il futuro del giornalismo investigativo, il modello più efficace ed eticamente in pace con se stesso per incalzare i potenti e inchiodarli alle loro responsabilità.
Qualche dubbio è legittimo, se perfino all'interno di Wikileaks si segnalano dissensi e polemiche, diserzioni e atti di aperta ribellione al padre-padrone e alla sua ossessione perla segretezza. Meno di due mesi fa, in settembre, il numero due di Wikileaks, un tedesco noto con lo pseudonimo di Daniel Schmitt, ha abbandonato la squadra in aperta polemica con Assange, accusato di dispotismo. Di più, in molti criticano l'approccio spettacolare seguito da quest'ultimo, che ha puntato tutto su Afghanistan e Iraq, trascurando altri progetti di pubblicazione di documenti su dossier meno conosciuti, ma non meno significativi.
Ma è la stessa procedura seguita in occasione di quella che il Guardian ha definito «uno straordinario momento per il giornalismo» a suggerire che una mole così sterminata di documenti sia direttamente proporzionale alla quantità di problemi che pone in termini di riscontri, elaborazioni, contestualizzazione. «Incapace di trattare una tale massa di documenti - spiega Le Monde - e priva della professionalità necessaria, Wikileaks ha fatto accordi con alcuni grandi media», garantendo loro un accesso privilegiato e preventivo perché facessero tutte le verifiche necessarie ed eliminassero i nomi proprio dai documenti, prima di pubblicarli, per così dire, in edizione critica. Ma veramente in soli tre mesi si poteva separare il grano dall'oglio, verificando l'autenticità di ognuno dei 391 mila rapporti?
Detto altrimenti, l'impressione è che la trasmissione anticipata a grandi testate internazionali, come Le Monde e New York Times, che pure hanno fatto un lavoro egregio nei limiti di tempo che hanno avuto, sia stata per Wikileaks una specie di alibi. Tanto più che i documenti grezzi sono disponibili nella'loro interezza sul sito. Nel merito, i documenti sull'Iraq confermano la realtà di una guerra sbagliata, l'orrore quotidiano di un'occupazione improvvisata, l'altissimo numero di civili uccisi, gli abusi, le torture e, non ultimo, il ruolo dell'Iran in favore delle milizie sciite. Il punto è che tanto materiale, al lordo di verifiche spesso non più possibili, rischia di indebolire la verità e la comprensione.
 

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