Ma i prezzi vanno controllati

Dalla Rassegna stampa

Immaginate di avere un figlio piccolo che ha fatto una brutta bronchite. Ormai è sfebbrato da due giorni e vorrebbe proprio uscire; gli misurate la temperatura e scoprite che, di primo mattino, è al limite della febbre. Se siete dei genitori saggi, dovrete, con rincrescimento, dirgli che deve restare a casa un giorno in più, sempre nella speranza che nel pomeriggio la febbre non torni a salire e allunghi la prognosi.
Un simile esempio, tratto dall’esperienza diffusa delle malattie stagionali, serve molto bene a inquadrare gli avvenimenti degli ultimi giorni con notizie lontane, come quelle provenienti da Dubai e notizie vicine che riguardano la spesa quotidiana: il figlio piccolo è l’economia, sia mondiale sia italiana, che ha alle spalle una crisi importante, forse conclusa e forse no. Ma anche se i sintomi di crisi cominciano lentamente a ritirarsi, i segnali non lasciano tranquilli. Senza le dovute precauzioni, la bronchite che si pensava di aver sconfitto può ripresentarsi come polmonite.

Il caso di Dubai è sicuramente il più clamoroso e il più preoccupante. E questo non solo perché la bolla è scoppiata in un paradiso del lusso dopo aver devastato l’edilizia povera dei mutui subprime, ma anche perché si conferma una volta di più che la comunità internazionale, nonostante due anni di risoluzioni e solenni propositi, non dispone di alcun mezzo non solo di intervento preventivo ma neppure di monitoraggio dei flussi finanziari. Prima ancora che nuova una sfida alle Borse, il caso di Dubai rappresenta una nuova sfida al sistema finanziario mondiale e alla serietà dei propositi di un suo ordinato controllo.
Si è parlato tanto di trasparenza e i governi dei Paesi ricchi continuano a tollerare l’opacità quasi completa dei «fondi sovrani» di gran parte dei Paesi emergenti, a cominciare da quelli petroliferi. Nessuno pare in grado di dire con qualche certezza quanti debiti abbia il fondo sovrano Dubai World, quali istituti bancari li abbiano sottoscritti e magari inseriti in prodotti «derivati» e chi ora possieda questi prodotti né quali garanzie i governi degli Emirati siano di fatto disposti a concedere. La possibilità che questo nuovo focolaio di infezione rovini la festa di un mondo finanziario che sta ripetendo in maniera miope i riti e gli errori del passato - a cominciare dagli assurdi super bonus dei dirigenti finanziari americani - non può certamente essere trascurata. Anzi, nel giro di un paio di settimane, quando è in calendario la scadenza di importanti debiti del fondo sovrano Dubai World, si avrà una sorta di prova della verità.
Se dalle Borse mondiali passiamo alla nostra borsa della spesa, il piccolo segnale che non lascia del tutto tranquilli è rappresentato dall’aumento, anche se minuscolo, dei prezzi con i quali si confronta il comune cittadino europeo. Dopo un declino durato cinque mesi nell’area dell’euro l’indice dei prezzi al consumo dà ora qualche segno di risalita. Per l’Italia tali segnali, per quanto molto contenuti, sono più consistenti che altrove. Certo, parlare di inflazione quando i prezzi al consumo salgono dello 0,7 in un anno e dello 0,1 per cento in un mese può sembrare eccessivo e in questo senso le grida di allarme sono quanto meno premature e probabilmente fuori luogo; non è invece eccessivo, ma anzi del tutto ragionevole, mettere i prezzi sotto osservazione.
Un’analisi sommaria mostra che l’aumento con cui si confronta il consumatore non è derivato dai prezzi alla produzione, sostanzialmente fermi per l’industria, a livelli inferiori a un anno fa, e addirittura fortemente cedenti per l’agricoltura senza che il consumatore ne abbia sentito gli effetti negli acquisti di generi alimentari. Si deve concludere che gli aumenti sembrano localizzati in prevalenza nel sistema distributivo che ha praticato per mesi molti sconti sui listini e che ora cerca di recuperare fiato con le vendite natalizie. Il fatto è che il sistema distributivo italiano, con i suoi troppi passaggi, è relativamente inefficiente e non consente un buon funzionamento dei meccanismi di mercato. Senza mutamenti strutturali in questo sistema sarà difficile dar vita a una ripresa di lungo periodo.
Un’economia strutturalmente debole come quella italiana in un contesto strutturalmente debole come è quello dell’attuale globalizzazione corre sempre due rischi paralleli: quello della stagnazione con prezzi cedenti, un male che il Giappone si porta addosso da almeno quindici anni, e quello di un’inflazione con poca crescita (la temutissima stagflazione che ha fatto la sua comparsa negli Anni Settanta). I grandi sviluppi mondiali e i piccoli sviluppi dei bilanci famigliari consentono oggi di concludere che entrambi i rischi esistono e vanno affrontati con decisione ossia cambiando regole, il che significa modificare strutture di potere. Se non lo faremo, la prospettiva che una bronchite quasi superata si trasformi in una polmonite pericolosa non sarà più soltanto teorica.
 

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