Ma per il Premier il vero chiarimento sarà con Tremonti

La corte pettegola del Cavaliere ne trasmette un’immagine corrucciata: Silvio geloso della Lega, disturbato dal frenetico Calderoli, infastidito da Fini che «apre» senza avvertirlo sulla legge elettorale e dunque gli scatena contro i kamikaze Gasparri, Cicchitto... Magari c’è del vero: a seconda di chi gli parla Berlusconi modula i suoi sfoghi, per cui nell’arco di una giornata gli viene attribuito tutto e il contrario. Ma poi, più degli umori, conta la sostanza. E la linea dettata dal premier allo stato maggiore prefigura (con le dovute cautele) una chiara divisione dei ruoli. Da una parte l’architettura repubblicana che appassiona i federalisti del Nord, i padri della patria, gli architetti della Costituzione, i giuristi azzeccagarbugli. Dall’altra le riforme che non abbelliscono i piani nobili del Palazzo ma toccano la
gente, le sue tasche, le sue emozioni.
Ebbene: senza rinunciare a una supervisione generale, il presidente del Consiglio giudica più utile spendersi sulle riforme di «tipo B», delegando con pelosa generosità alla Lega (e a Fini) quelle del «gruppo A».
«Vadano pure avanti», è il leit-motiv, «io darò l’aiuto possibile, felicissimo di un’eventuale riuscita. Pronto perfino a incontrare Bersani» qualora fosse quello l’ostacolo. Berlusconi non ha il minimo interesse a un fiasco di Calderoli. Se il tentativo leghista andasse in porto, lui potrebbe puntare al Colle con elezione diretta, l’unica per lui praticabile. E viceversa, guai se desse l’impressione di sabotare il Carroccio, l’uomo di Arcore conosce Bossi e nemmeno ci prova. La sua copertura alla Lega è talmente vasta, da costringere il Pdl a un atto di penitenza.
Il «progetto organico» di riforme costituzionali, che i due capigruppo avevano già messo a punto con l’ausilio di Quagliariello, resta per ora nel cassetto, altrimenti farebbe a pugni con la bozza di Calderoli che punta al semi-presidenzialismo francese laddove il pensatoio berlusconiano privilegia il britannico «modello Westminster». Per non ammainare del tutto la bandiera, i gruppi parlamentari Pdl di Camera e Senato si riuniranno il 3 maggio in conclave e ne discuteranno. Nel frattempo terranno vivi i contatti col Pd, in particolare con il regista dell’altra sponda Violante, che sotto sotto la pensa come loro. «Calma e gesso», esorta il saggio Napoli.
Berlusconi semmai vuole profittare della Lega distratta per mandare avanti i suoi propositi sulla giustizia e, prima ancora, per mettere le carte in tavola con Tremonti. Provare a stringerlo su misure di sostegno alla ripresa, soldi in pasto ai ministri che più rumoreggiano, da Matteoli a Scajola, dalla Prestigiacomo alla quasi-mamma Gelmini.
Convincere il ministro a studiare da subito una riforma fiscale, pur sapendo che prima di tre anni non entrerà a regime. Quantomeno poterla annunciare domani a Parma, alle assise confindustriali, 5mila imprenditori che non si accontentano di comizi. Grande è il timore di subire i contraccolpi della crisi greca, che consiglia rigore. Ma altrettanta è la paura berlusconiana di girare i pollici per tre anni, causa mancanza di fondi. Il chiarimento del Cavaliere con Tremonti (mattatore ieri sera da Santoro) sarà la vera boa di metà legislatura.
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