Ma di moderato ci sarà assai poco

Se vivessimo nel migliore dei mondi possibili, anziché nel caos in cui siamo, potremmo affrontare le elezioni di febbraio senza grandi patemi d’animo. Nel migliore dei mondi possibili ci sarebbero due grandi partiti, l’uno di centrosinistra e l’altro di centrodestra, nessuno dei quali ricattato e condizionato da forze estremiste, che si contenderebbero l’elettorato di centro. Entrambi i partiti concorderebbero sul fatto che l’Italia non ha altre possibilità che rispettare gli impegni presi con i partner europei e che nulla serve di più, per rassicurare mercati ed Europa, della certezza che chiunque vincerà rispetterà gli accordi e governerà di conseguenza. Nel migliore dei mondi possibili i due grandi partiti si differenzierebbero fra loro solo perché, pur nel rispetto degli impegni presi, l’uno, quello di centrodestra, proporrebbe di ridurre la pressione fiscale su ceti medi e imprese tramite una contrazione della spesa pubblica mentre l’altro, quello di centrosinistra, proporrebbe risparmi che servano a migliorare la condizione dei ceti meno abbienti. Ma non viviamo nel migliore dei mondi possibili, la situazione è diversa. Le elezioni non si caratterizzeranno per una competizione fra grandi partiti tesi alla cattura dell’elettorato centrista. Saranno invece elezioni iperpolarizzate, e iperideologizzate, nelle quali l’elettorato di centro si troverà spiazzato e, forse, politicamente orfano. La scelta di Berlusconi di ricandidarsi smarcandosi da Monti e anticipando così di un mese la fine della legislatura è una scelta all’insegna della radicalizzazione. Berlusconi, alla ricerca di quel dieci o quindici per cento di voti o giù di lì che gli assegnano i sondaggi e che gli servono per restare in partita, dovrà fare (anche se egli dichiara oggi il contrario) una campagna di segno antieuropeo. Anche perché avrà Monti, con il suo ruolo di garante di fronte all’Europa, come uno degli avversari da contrastare. Gli elettori moderati, quelli che in anni passati avevano creduto alla sua promessa di rivoluzione liberale, se li è persi, è difficile che abbocchino ancora. Inoltre, si trova a fare i conti con una netta presa di distanza della Chiesa (si veda l’intervista del cardinale Bagnasco al Corriere di ieri). Dovrà pertanto cercare di fare il pieno degli «arrabbiati». Tanto più che la sua scelta si accompagna a una rinnovata alleanza con la Lega, un partito che ha combattuto il governo Monti e che, per giunta, nel modo intelligente che è proprio di Roberto Maroni, sta di nuovo perseguendo un progetto, sia pure soft, di secessione del Nord (per questo scopo, precisamente, gli serve togliere al Pdl anche la presidenza della Regione Lombardia). L’alleanza Berlusconi-Maroni sarà, non potrà non essere, una alleanza che userà toni e argomenti estremisti. Altro che convergenza al centro. A quell’alleanza se ne contrapporrà un’altra, quella dei grandi favoriti in queste elezioni, l’alleanza Bersani-Vendola. Nemmeno questa coalizione, per la verità, è fatta per tranquillizzare l’elettorato centrista. Perché in essa Bersani, un «montiano» (uno cioè consapevole dei vincoli europei) capeggia un aggregato ove abbondano gli antimontiani, da Vendola a Fassina, alla Cgil. Un aspetto significativo del caso italiano è dato dal fatto che certi argomenti antiglobalizzazione e antieuro (che sottendono una implicita richiesta di protezionismo e di autarchia) siano presenti sia a sinistra che a destra. A volte si fa fatica a distinguere, quando parlano di questi temi, un vendoliano da un leghista, un rappresentante della Fiom da certi esponenti dell’ala più estrema del berlusconismo. Non è tutta colpa loro: è proprio dei sistemi politici frammentati come il nostro di scoraggiare la responsabilità e favorire la demagogia. E resta, naturalmente, l’incognita Grillo. Non si può sapere quanti voti prenderà il Movimento Cinque Stelle e come e quanto ciò condizionerà gli equilibri politici futuri. In una democrazia che si avvia a una campagna elettorale all’insegna della polarizzazione, c’è il rischio che una vasta area di elettorato si ritrovi politicamente orfana. E che cosa accadrebbe con una eventuale candidatura Monti, di cui ha parlato ieri su queste colonne Antonio Polito? Le conseguenze potrebbero essere diverse. La prima è che in questo modo Monti punterebbe a una legittimazione democratica, che deve passare, per esser tale, attraverso il voto popolare. La seconda è che egli potrebbe offrire una sponda a un elettorato, probabilmente ampio, che in questo momento legge e rilegge il menu politico-partitico senza trovare un piatto che possa soddisfarne il palato. La terza è che cadrebbero certi alibi. Nessuno dovrebbe più nascondersi dietro a quell’oggetto misterioso, che si presta a tutte le possibili interpretazioni, denominato «agenda Monti». La misteriosa agenda Monti verrebbe sostituita da un chiaro programma con cui Monti, e chi lo segue, si presenterebbero alle elezioni. L’unico consiglio che forse si potrebbe dare a Monti, se davvero puntasse a catturare l’elettorato oggi politicamente orfano, sarebbe quello di fare qualche piccolo aggiustamento nella comunicazione. Va bene insistere, come egli fa, sulla lotta alla evasione fiscale. Ma forse bisognerebbe aggiungere qualche idea su come, attraverso quali tagli di spesa, ridurre le tasse che gravano su ceti medi e imprese. Perché senza una indicazione su questo punto egli difficilmente potrebbe catturare quell’elettorato, oggi oberato di tasse, che non ha più Berlusconi come punto di riferimento. E anche perché, senza una riduzione, graduale quanto si vuole, del carico fiscale, la ripresa economica da lui promessa potrebbe non arrivare mai.] Se vivessimo nel migliore dei mondi possibili, anziché nel caos in cui siamo, potremmo affrontare le elezioni di febbraio senza grandi patemi d'animo. Nel migliore dei mondi possibili ci sarebbero due grandi partiti, l'uno di centrosinistra e l'altro di centrodestra, nessuno dei quali ricattato e condizionato da forze estremiste, che si contenderebbero l'elettorato di centro. Entrambi i partiti concorderebbero sul fatto che l'Italia non ha altre possibilità che rispettare gli impegni presi con i partner europei e che nulla serve di più, per rassicurare mercati ed Europa, della certezza che chiunque vincerà rispetterà gli accordi e governerà di conseguenza. Nel migliore dei mondi possibili i due grandi partiti si differenzierebbero fra loro solo perché, pur nel rispetto degli impegni presi, l'uno, quello di centrodestra, proporrebbe di ridurre la pressione fiscale su ceti medi e imprese tramite una contrazione della spesa pubblica mentre l'altro, quello di centrosinistra, proporrebbe risparmi che servano a migliorare la condizione dei ceti meno abbienti.
Ma non viviamo nel migliore dei mondi possibili, la situazione è diversa. Le elezioni non si caratterizzeranno per una competizione fra grandi partiti tesi alla cattura dell'elettorato centrista. Saranno invece elezioni iperpolarizzate, e iperideologizzate, nelle quali l'elettorato di centro si troverà spiazzato e, forse, politicamente orfano.
La scelta di Berlusconi di ricandidarsi smarcandosi da Monti e anticipando così di un mese la fine della legislatura è una scelta all'insegna della radicalizzazione. Berlusconi, alla ricerca di quel dieci o quindici per cento di voti o giù di lì che gli assegnano i sondaggi e che gli servono per restare in partita, dovrà fare (anche se egli dichiara oggi il contrario) una campagna di segno antieuropeo. Anche perché avrà Monti, con il suo ruolo di garante di fronte all'Europa, come uno degli avversari da contrastare. Gli elettori moderati, quelli che in anni passati avevano creduto alla sua promessa di rivoluzione liberale, se li è persi, è difficile che abbocchino ancora. Inoltre, si trova a fare i conti con una netta presa di distanza della Chiesa (si veda l'intervista del cardinale Bagnasco al Corriere di ieri). Dovrà pertanto cercare di fare il pieno degli «arrabbiati». Tanto più che la sua scelta si accompagna a una rinnovata alleanza con la Lega, un partito che ha combattuto il governo Monti e che, per giunta, nel modo intelligente che è proprio di Roberto Maroni, sta di nuovo perseguendo un progetto, sia pure soft, di secessione del Nord (per questo scopo, precisamente, gli serve togliere al Pdl anche la presidenza della Regione Lombardia). L'alleanza Berlusconi-Maroni sarà, non potrà non essere, una alleanza che userà toni e argomenti estremisti. Altro che convergenza al centro.
A quell'alleanza se ne contrapporrà un'altra, quella dei grandi favoriti in queste elezioni, l'alleanza Bersani-Vendola. Nemmeno questa coalizione, per la verità, è fatta per tranquillizzare l'elettorato centrista. Perché in essa Bersani, un «montiano» (uno cioè consapevole dei vincoli europei) capeggia un aggregato ove abbondano gli antimontiani, da Vendola a Fassina, alla Cgil.
Un aspetto significativo del caso italiano è dato dal fatto che certi argomenti antiglobalizzazione e antieuro (che sottendono una implicita richiesta di protezionismo e di autarchia) siano presenti sia a sinistra che a destra. A volte si fa fatica a distinguere, quando parlano di questi temi, un vendoliano da un leghista, un rappresentante della Fiom da certi esponenti dell'ala più estrema del berlusconismo. Non è tutta colpa loro: è proprio dei sistemi politici frammentati come il nostro di scoraggiare la responsabilità e favorire la demagogia. E resta, naturalmente, l'incognita Grillo. Non si può sapere quanti voti prenderà il Movimento Cinque Stelle e come e quanto ciò condizionerà gli equilibri politici futuri.
In una democrazia che si avvia a una campagna elettorale all'insegna della polarizzazione, c'è il rischio che una vasta area di elettorato si ritrovi politicamente orfana. E che cosa accadrebbe con una eventuale candidatura Monti, di cui ha parlato ieri su queste colonne Antonio Polito? Le conseguenze potrebbero essere diverse. La prima è che in questo modo Monti punterebbe a una legittimazione democratica, che deve passare, per esser tale, attraverso il voto popolare. La seconda è che egli potrebbe offrire una sponda a un elettorato, probabilmente ampio, che in questo momento legge e rilegge il menu politico-partitico senza trovare un piatto che possa soddisfarne il palato. La terza è che cadrebbero certi alibi. Nessuno dovrebbe più nascondersi dietro a quell'oggetto misterioso, che si presta a tutte le possibili interpretazioni, denominato «agenda Monti».
La misteriosa agenda Monti verrebbe sostituita da un chiaro programma con cui Monti, e chi lo segue, si presenterebbero alle elezioni. L'unico consiglio che forse si potrebbe dare a Monti, se davvero puntasse a catturare l'elettorato oggi politicamente orfano, sarebbe quello di fare qualche piccolo aggiustamento nella comunicazione. Va bene insistere, come egli fa, sulla lotta alla evasione fiscale. Ma forse bisognerebbe aggiungere qualche idea su come, attraverso quali tagli di spesa, ridurre le tasse che gravano su ceti medi e imprese. Perché senza una indicazione su questo punto egli difficilmente potrebbe catturare quell'elettorato, oggi oberato di tasse, che non ha più Berlusconi come punto di riferimento. E anche perché, senza una riduzione, graduale quanto si vuole, del carico fiscale, la ripresa economica da lui promessa potrebbe non arrivare mai.
© 2012 Corriere della Sera. Tutti i diritti riservati
SU