Ma il dileggio non è libertà

Dalla Rassegna stampa

Siamo dinanzi ad uno scontro di civiltà mediatico, nelle sue radici, che ci prende di sorpresa. Suona patetica l’affermazione del primo ministro francese Jean-Marc Ayrault: «Se veramente delle persone si sentono offese nelle loro convinzioni e pensano che sono stati calpestati dei diritti, possono rivolgersi ai tribunali».

Con questo argomento il ministro ritiene di rendere non solo legittima ma efficace l’ordinanza che proibisce di manifestare a Parigi contro il film ritenuto anti-islamico.

Ma li vedete voi gli scandalizzati o scalmanati islamici/islamisti che fanno deferente istanza alla magistratura?

Intanto però precauzionalmente lo stesso ministro ha ordinato la chiusura di scuole e ambasciate francesi in 20 paesi dopo la pubblicazione in Francia di nuove caricature di Maometto.

La realtà è che rischia di saltare l’intera nostra civiltà che pretende di fondarsi contemporaneamente sulla libertà di espressione e sul diritto al rispetto delle diversità culturali, religiose innanzitutto. Quando l’espressione di libertà diventa sinonimo di satira offensiva e di dileggio, c’è da attendersi che i soggetti offesi si lascino andare ad una minacciosa intolleranza per ogni forma di critica nei loro riguardi.

In questo modo viene meno ogni possibilità di «discorso pubblico», con la sua razionalità e ragionevolezza, con la sua capacità performativa. La capacità cioè di orientare i comportamenti, non soltanto quelli formali della legge, ma quelli informali che funzionano grazie al buon senso e alla saggezza. La saggezza consiste proprio nel contemperare i principi tra loro in tensione. Senza saggezza, la libertà di espressione e di satira da un lato e il diritto al rispetto dell’integrità del proprio credo religioso dall’altro, entrano in collisione portando diritto al sempre scongiurato «scontro di civiltà».

Questo ora sembra esprimersi attraverso l’esasperazione mediatica da parte di chi provoca e nella risposta violenta di chi si sente vittima. Una violenza reale che tuttavia vive della sua rappresentazione mediatica e mira intenzionalmente alla sua dilatazione.

Il sistema mediatico, ormai fuori da ogni controllo e autocontrollo, sta minando la civiltà della comunicazione di cui siamo (stati) tanto fieri. Se si segue la strada aperta dal film anti-islamico di cui si parla, entriamo definitivamente nell’età della inciviltà della comunicazione.

Girato negli Stati Uniti ma diffuso su Internet, il film all’origine della vicenda è stato prodotto in Occidente, ma non è affatto espressione dell’Occidente. Questo va detto e ripetuto con energia. Continuerà ad essere considerato espressione dell’«Occidente che odia l’Islam», come sostengono gli islamisti arrabbiati, sin tanto che la magistratura (francese), non mostrerà con buoni argomenti che non è affatto così e che l’Occidente ha tutti gli strumenti per risolvere il problema?

Povera civiltà, la nostra, se deve aspettare la sentenza della magistratura per affrontare e risolvere un problema che deve contare sulla saggezza quotidiana dei suoi cittadini, credenti o non credenti.

Invece ciò che colpisce in queste ore è l’eccitazione, un po’ morbosa, per le nuove vignette anti-islamiche e l’attesa di come andrà finire. Come se si trattasse di un ennesimo spettacolo live da guardare, come se non ci coinvolgesse profondamente. Non basta prendere le distanze dai provocatori irresponsabili e dai violenti assassini. Quanto sta accadendo è un segnale che dinanzi all’impazzimento del sistema mediatico è necessario creare un nuovo equilibrio tra i principi della libertà di espressione e del diritto al rispetto dell’integrità del credo religioso. E’ un problema che tocca tutti noi, da vicino.
 

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