L'uomo che cambiò sette casacche

Dalla Rassegna stampa

«Inizieremo un tragitto differente, unendo persone diverse con culture diverse». Indovinello: quando Francesco Rutelli ha pronunciato per la prima volta queste parole? Nel 1989, quando lasciò Pannella per i verdi dopo quindici anni di militanza radicale? O nel `98, quando da sindaco di Roma mollò i verdi per consorziarsi con altri primi cittadini eccellenti (Cacciari, già allora sindaco di Venezia, Enzo Bianco di Catania), per fondare il movimento Centocittà? I sindaci non resistettero allo scherzo, e dopo tre mesi Centocittà era già sciolto. Rutelli può quindi vantarsi di avere inventato il partito dalla vita più corta nella storia d`Italia (forse del mondo). Subito dopo, con un guizzo si mise con Di Pietro eProdinell`Asinello. I «democratici» resistettero un po` più a lungo, e nel 2002 ecco la quarta giravolta di Francesco: assieme ai democristiani nella Margherita. Infine, confluenza nel Pd due anni fa. Bisogna essere forti in matematica: quella annunciata con Casini sarà la settima casacca indossata da Rutelli nei suoi ultimi vent`anni di vita politica. Con una costante: «Unire persone diverse, con culture diverse». Il cambiamento come virtù. Unica coerenza: quella dell`incoerenza. Un voltagabbana, come tanti politici di professione? Mano. Lui si trova in competizione con Mastella per quantità di trasfigurazioni: antimilitarista e ora capo dei servizi segreti (anche militari), anticlericale e poi baciapile con replay di matrimonio in chiesa, anticomunista libertario ma poi alleato dei demoproletari, antisocialista («Auguro a Craxi di mangiare il suo prossimo rancio nel carcere di San Vittore») pentito dopo sei anni e una querela alla figlia Stefania che gli rispose «Stronzo». Ma, a differenza del marito di Sandra Lonardo Mastella, il marito di Barbara Palombelli non ha mai surfato fra destra e sinistra. E sempre rimasto nel centrosinistra. Con una commendevole propensione al martirio: chi alle politiche del 2001 avrebbe osato opporsi a un Berlusconi trionfante, dopo le vittorie alle europee del `99 e alle regionali l`anno dopo? Rutelli accettò di fare il candidato a perdere, limitò i danni e si «sacrificò» in attesa del successivo indennizzo: presidente della Margherita. Fu allora che perfezionò il suo secondo miracolo politico, dopo quello del maxiparcheggio sotto il Gianicolo per il Giubileo 2000: diventare, lui ex radicale, il capo dei democristiani. La capacità sopraffina di Rutelli è quella di riuscire a contare senza contare i propri voti. Che non esistono. Francesco infatti non ha una sua «costituency». Non ha una base di elettori: il suo è un voto totalmente di opinione. Armato solo del proprio disarmante sorriso e di un`affabilità seconda solo a quella di Bersani, pratica alla perfezione l`insegnamento del suo pigmalione Pannella: la strategia del cuculo. Si piazza nel nido degli altri. Da solo, non vale nulla. Però riesce a strappare il principale titolo di prima pagina al Corsera. «Quante divisioni ha Rutelli?», chiederebbe Hitler. Nessuna. Da vent`anni galleggia e guida pezzetti di nomenclatura in cerca di ricollocazione. Ma ormai Gentiloni e Realacci lo hanno mollato. Perfino il fedelissimo Giachetti tituba. A Francesco resta solo Vernetti, un genio della politica.

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