Il lungo giorno della Polverini sempre più vicina all'addio

Dalla Rassegna stampa

Una passione senza fine. Quattro giorni dopo essere andata dal ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, la governatrice del Lazio, Renata Polverini, ha sentito la necessità di comunicare i propri disagi più in alto, sempre più in alto: anche al presidente del Consiglio, Mario Monti, senza che al colloquio seguissero delle dimissioni a questo punto già tardive per motivi di decenza, oltre che politici. Così almeno pareva, e da più fonti, quando s’era fatta notte. L’unica vaga notizia risiedeva in un dispaccio che la Polverini ha diffuso alle 23.30 e nel quale ha sostenuto di aver informato il premier per motivi economici ed istituzionali. Traduzione: alla seduta non mancavano ragioni di pura ciccia, perché la sanità (di cui la Polverini è commissario straordinario) e la tassazione regionale sono regolate da un tavolo tecnico fra Palazzo Chigi e le regioni in disavanzo, quale il Lazio è. Da quello che si è capito, la Polverini aveva già chiesto delucidazioni alla Cancellieri ed è stata la Cancellieri a suggerire colloqui più alti.

Piuttosto suscitano impressione (ma fino a un certo punto, ormai ci si è fatto il callo) le modalità dell’incontro, richiesto dalla Polverini e ottenuto intorno alle 19.30 di domenica sera, quando sarebbe bastata e avanzata una telefonata; e poi pubblicizzato con una certa enfasi, di modo che in tre minuti si è diffuso il trecentesimo allarme settimanale sulle dimissioni, e per la trecentesima volta rientrato anche piuttosto rapidamente. La perfetta conclusione di una settimana arlecchinesca, riempita di pugni battuti sul tavolo, orazioni di ringhiera in consiglio regionale, quasi un’azione di bullismo, e poi scatti d’isteria, misteri patetici, rientri nei ranghi, e una conclusione inconcludente: i tagli pretesi e ottenuti per farne una lapide sul passato, come se i milioni spartiti e bevuti non interessassero più a nessuno.

Della chiacchierata di ieri sera si sa poco altro, se non che Monti è stato piuttosto sbrigativo, per indole. Lui aveva poco da spiegare. Lei qualcosa di più, già che aveva chiesto confessione, ma non pare in questo momento una donna votata alla concretezza. E nonostante la situazione sia ormai decisamente chiara. Le responsabilità politiche della governatrice (non poteva non sapere è un abnormità giuridica, ma non della dialettica democratica) sono lampanti. I suoi più stretti collaboratori, dall’assessore al Bilancio, Stefano Cetica (come lei uscito dal sindacato di destra Ugl), ai membri del suo gruppo, sono nella migliore delle ipotesi collaboratori infedeli, se proprio si vuole conservare la certezza della buona fede del presidente.

Il rischio che nel giro di qualche settimana il consiglio regionale si ritrovi con quindici o venti o trenta membri sotto inchiesta non è una previsione fantasiosa. E ieri, dalla mattina al tardo pomeriggio, la Polverini era apparsa rabbuiata, persino pentita di non aver mandato tutti al diavolo al momento giusto. Ora si ritrova avviluppata al disastro più di prima. Ce l’aveva con gli amici che non l’hanno ben consigliata e coi collaboratori che badano soltanto a sé stessi. Ce l’aveva pure con il partito, che galleggia nella melma, non decide su nulla, pensa che restare sul pero a guardarsi attorno sia una strategia di sopravvivenza. E poi il quadro si è velocemente aggravato.

Prima il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, (in verità un altro che politicamente non gode di una salute di ferro) si è smarcato dalla dirimpettaia, ha detto che serve «un azzeramento totale all’interno dell centrodestra», di modo che si vada alla ricerca di persone nuove e valori più solidi. Le immagini provenienti dalla Regione, ha detto, sono «bruttissime» e tesimoniano una separazione devastante fra la politica e il paese. Benvenuto nel club. Ma per la Polverini non era finità lì. Prima le è arrivato velocemente alle orecchie il requiem alla forlaniana pronunciato (in una labile riservatezza fra amici) da Pier Ferdinando Casini, azionista importante con l’Udc della maggioranza laziale: non chiedo le dimissioni, sostiene Casini, ma se la Renata molla non mi suicido. Infine la reiterata e irrevocabile intenzione dei consiglieri del Partito democratico di mollare tutto per tempo, sempre che tempo ci sia. La maggioranza non c’è più. Rimane soltanto da chiudere la porta.

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