Il lungo addio

Dalla Rassegna stampa

L’ennesimo incidente di percorso tra Fini e Berlusconi non è importante solo per le frasi, non destinate ad essere rese pubbliche, uscite dalla bocca del presidente della Camera e registrate da un microfono indiscreto. Ma anche, e forse soprattutto, per il tono con cui, in confidenza, sono state pronunciate.
A parte l’anticipazione, quasi un mese prima (la registrazione è del 6 novembre), che le dichiarazioni che il pentito Gaspare Spatuzza renderà il 4 dicembre saranno «una bomba atomica» (Fini dunque per quella data era già al corrente del tenore delle future rivelazioni del mafioso), e necessitano quindi di «un riscontro» da fare «con scrupolo», e a parte la conferma del dissenso con il Cavaliere, che «confonde la leadership con la monarchia assoluta» e interpreta il consenso elettorale come «una sorta di immunità nei confronti di qualsiasi autorità di garanzia e di controllo», Fini, anche privatamente, non parla più come «cofondatore» del Pdl, ma come uno che sente di non aver più nulla da condividere con Berlusconi e con il partito nato dalla fusione dell’ex An con Forza Italia.
E se è chiaro che il presidente della Camera considera quell’esperienza come se ormai non gli appartenesse, più difficile è capire quale ruolo Fini si riservi per il futuro.

Del resto non era questo l’oggetto della conversazione occasionale con il procuratore Trifuoggi, tra l’altro anche lui non tenero verso il premier, che accusa, nientemeno, di voler fare «l’imperatore romano». L’unica previsione realistica è che Fini pensi ormai a sé stesso solo come al presidente della Camera, cioè una di quelle autorità di garanzia, che hanno tra i propri doveri quello di richiamare il premier al rispetto delle regole e dei diversi ruoli istituzionali, ma ai cui interventi il presidente del Consiglio non si sente in alcun modo sottoposto, perché si ritiene comunque protetto. E li giudica, tutt’al più, come un fastidio, in forza della singolare concezione del proprio ruolo e del massiccio consenso popolare su cui può contare.
Se ne ricava che tutti gli incontri, i tentativi di mediazione, le salite e le discese da un Palazzo all’altro dei pacieri di tutte le parti, sia quelli avvenuti, sia quelli in preparazione, devono a questo punto essere valutati inutili, se non addirittura controproducenti. E di conseguenza, siccome Fini alla Camera non è solo, ma anzi coagula una discreta pattuglia di dissidenti, sono anche da considerare a rischio i prossimi appuntamenti a Montecitorio del governo, malgrado la larga maggioranza di cui ancora può godere.
Si sa, in politica mai dire mai. Ma la storia dell’alleanza tra Gianfranco e Silvio, che quindici anni fa ha aperto la strada del governo alla destra, e di colpo ha cambiato la storia politica del Paese, stavolta sembra proprio finita.
 

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