L'ultimo atto della sfida all'Ok Corral che devasta la maggioranza

Dalla Rassegna stampa

Lo psicodramma italiano si svolge su due livelli, quasi surreali. Il primo livello racconta di una maggioranza di governo che si ritiene solida e in grado di affrontare nientemeno che il proprio rilancio nel segno delle riforme e della «responsabilità nazionale». Dove si fonda tale certezza? Sul fatto che ieri il centrodestra alla Camera ha retto e, nonostante qualche assenza, ha ottenuto 308 voti in difesa del discusso sottosegretario Cosentino. Voti a scrutinio segreto, per cui si s può supporre che il responso sarebbe stato in f parte diverso con una votazione palese. Resta che il grosso dei finiani si è espresso con le opposizioni; e quindi si approfondisce il solco all'interno del centrodestra. Del resto la vicenda Cosentino, con i suoi lati oscuri, non è certo la più adatta per verificare la buona salute e l'effettiva coesione della maggioranza. I dubbi sul futuro sono inevitabili e vanno al di là della scadenza del 28-29. Tanto più che stanno riaffiorando alcune incertezze circa lo sbocco da dare alla seduta in cui parlerà il presidente del Consiglio. Voto di fiducia o un meno impegnativo documento d'indirizzo? È chiaro che le due ipotesi non si equivalgono. Una mozione senza voto di fiducia renderebbe superflua la rincorsa alla soglia di sicurezza dei 316 consensi, ma a questo punto si darebbe al paese un segno di debolezza. Non a caso finora si era sempre parlato di fiducia.
Eppure ieri sera uno dei coordinatori, il ministro La Russa, un po' a sorpresa ha lasciato intendere che niente è deciso. Il che lascia presumere che Berlusconi vuole essere del tutto sicuro dei suoi 316 voti (al netto dei finiani) prima di avventurarsi lungo il sentiero scosceso del voto. Questo in condizioni normali. Ma c'è il secondo livello dello psicodramma. E riguarda la sfida in stile Ok Corral tra il presidente del Consiglio e il presidente della Camera, intrecciata all'inchiesta sulla casa di Montecarlo passata dal patrimonio di An alla disponibilità del cognato di Fini. Un simile conflitto non si era mai visto nella storia repubblicana. Ed è ormai è evidente che uno dei duellanti è destinato e soccombere nello scontro senza esclusioni di colpi. Soccombere vuol dire perdere la faccia, ossia la credibilità. Ma vuol dire anche pagare un prezzo politico molto alto che poco si concilia con l'idea che la maggioranza tiri dritto senza subire ripercussioni. Allo stato delle cose, questa eventualità sembra davvero troppo ottimistica.
Quando la terza carica dello Stato, attraverso persone a lui vicine, parla di dossier falsificati e di servizi segreti «deviati», cioè infedeli; e quando gli amici del presidente della Camera adombrano senza giri di parole che dietro le falsificazioni ci sia il capo dell'esecutivo, vuol dire che siamo entrati in un territorio inesplorato, dove è facile perdere il bandolo della matassa politico-istituzionale. È logico che in queste condizioni vadano in frantumi i ponti che qualcuno si sforzava dì costruire. La questione del Lodo Alfano e dello scudo giudiziario per il premier da oggi torna in alto mare. Il che fa capire quale gioco di ricatti e controricatti stia condizionando i rapporti nella maggioranza. Ma Berlusconi dovrà decidersi. Non può volere, da un lato, una maggioranza ben salda, coni ministri finiani nel governo ma senza che «Futuro e libertà» sia determinante. E dall'altro la distruzione politica di Fini, immaginando che essa avvenga senza contraccolpi devastanti. O una cosa o l'altra: avere entrambe è impossibile.

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