La lotteria della fiducia appesa alle assenze E i radicali si divertono a tener tutti sulla corda

Sembra di essere tornati ai bei tempi del governo Prodi, quando ogni singolo parlamentare, solitamente del tutto ignorato, scopriva improvvisamente di avere più sex appeal di una top model, agli occhi affamati dei due schieramenti. Stavolta mancano al paesaggio i senatori abvita, ai tempi di Prodi massimo elemento di suspence insieme ai mitici Turigliatto o Pallaro, perché la scena si è spostata a Montecitorio, ma il clima è quello.
E di tale clima nessuno poteva far miglior uso di Marco Pannella, il leader dei radicali che conta su sei preziosi voti alla Camera. Sei voti che potrebbero ribaltare le sorti della partita. Nel Pdl, un po’ per corroborare la guerra psicologica con i finiani, e un po’ per convinzione, molti sostengono che il dialogo sia «più avanzato di quanto si crede», e lasciano intendere che qualche frutto potrebbe essere colto: «Non devono mica votare la fiducia, basterebbe qualche assenza in più per cambiare tutto». Pannella e i suoi alimentano abilmente il bluff, dando risposte chiare come gli oracoli della Pizia anche a chi gli chieda l’ora. Tant’è che in casa Pd l’allarme è cresciuto, e Bersani è dovuto correre ai ripari, fissando per oggi un incontro col gran capo radicale, che rimandava da mesi. «In ballo spiega un dirigente del partito - ci sono le candidature, e Pannella vuole che gli diamo certezze». Quanto al voto del 14 dicembre, l’esponente Pd si mostra certo: «Ci saranno tutti e sei i radicali, e voteranno la sfiducia. Altrimenti, gli abbiamo spiegato, il giorno dopo sono fuori e possono chiedere a Berlusconi di essere ricandidati». Ma intanto Pannella si diverte a tenere tutti sul filo e a incassare promesse dal centrodestra, e si assicura visibilità, scontando l’irritazione di Emma Bonino - solo qualche mese fa candidata del centrosinistra nel Lazio - cui non piace granché ritrovarsi sospettata di trasformismo. Il Cavaliere, dicono i ben informati, è convinto anche lui che il corteggiamento dei radicali sia un vicolo cieco, ma ha dato indicazione di continuare a parlarne e ad essere possibilisti perché serve ad alimentare lo stress degli avversari, Fini in testa. Che replicano diffondendo voci su trattative già avazate con Pisanu e Scajola, pronti a sostenere un governo tecnico a patto di entrarci. La vera partita si aprirà dopo il voto di fiducia. E al dopo guarda il capogruppo Pdl Cicchitto quando promette modifiche alla legge elettorale se si apre la strada a un Berlusconi bis e quando agita, accanto alla carota, anche il bastone delle elezioni anticipate, inevitabili senza sostegno al premier. Con un avviso ai naviganti destinato anche al Colle, quando si chiede «cosa scatenerebbe nel paese un eventuale governo Fini-D’Alema»: la campagna contro il «ribaltone» non risparmierebbe certo il presidente della Repubblica. Il rischio elezioni allarma assai Fli e Udc: un listone anti-Cav con il Pd è impraticabile, anche perchè Bersani non intende mollare Idv e Vendola. La rivalità tra i due alleati terzopolisti è tale che allo stato una lista comune alla Camera è impossibile, perché Fini non vuole che il candidato premier sia Casini e viceversa. E al Senato nessuno garantisce che, sia pur tecnicamente appaiati, i due partiti raggiungano l’8% in qualche regione. Anche per questo, e non solo per tattica, Fli non chiude al Berlusconi bis.
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