La lotta biologica alla distruzione delle lingue

Circa ogni due settimane scompare una lingua dalla faccia della Terra. Scompare un popolo, la sua sapienza. Di questo passo oltre la metà delle lingue del mondo scomparirà entro il secolo. La gravità del fenomeno allarma da tempo l’Unesco che, nella sua Risoluzione sul plurilinguismo nell’educazione, parla apertamente del «pericolo che oggi minaccia la diversità linguistica a causa della mondializzazione della comunicazione e delle tendenze a usare una lingua unica, con i rischi di emarginazione delle altre grandi lingue del mondo e addirittura di estinzione delle altre lingue di minore diffusione ». In effetti, i popoli anglofoni si stanno rendendo protagonisti di un genocidio linguistico- culturale mondiale che ha solo un precedente nella storia: quello del latino della Roma imperiale che distrusse tutte le lingue del mondo allora conosciuto. La strategia complessiva la si trova lucidamente esposta dall’americano Rothkopf già nel 1997: è negli interessi economici e politici degli Stati Uniti assicurarsi che se il mondo si sta muovendo verso una lingua comune, questa deve essere l’inglese; che se il mondo sta diventando collegato dalla tv, dalla radio, e dalla musica, la programmazione deve essere quella americana; e che se i valori comuni sono in via di sviluppo, devono essere i valori con cui gli americani stanno a loro agio. Ma cosa dire di quell’Europa che, non riuscendo ancora a fare i funerali al dopoguerra, li fa a se stessa, mettendo la croce della lingua inglese sulle spalle dei propri figli fin dalla prima elementare, mentre i bambini inglesi, aristocratici della lingua, fanno solo gli inglesi! Forse perché i genitori lingua madre inglese sono furbi e quelli dei popoli non anglofoni fessi? No, non solo i genitori: anche gl’imprenditori, i docenti, i giornalisti e, in testa a tutti, i politici. Coloro nelle cui mani ogni popolo mette la propria sorte. Una sorte che già in tempi recenti agli italiani non ha arriso, con la perdita di una guerra mondiale. Da una guerra è però possibile risollevarsi, dalla perdita della propria lingua no. Se nell’istruzione prosegue la distruzione dell’alfabetizzazione superiore, sostituendo alla propria lingua l’inglese, la progressiva perdita di funzionalità segnerà la fine della lingua italiana e, con essa, il popolo italiano non esisterà più. Urge correre ai ripari. Quello che bisogna adottare, come metodo di lotta alla morte precoce delle lingue, è il metodo della “lotta biologica”. Un metodo che con successo viene sempre più adottato in agricoltura. Mettere nel campo linguistico dei popoli un’altra lingua, che funzioni da soluzione “biologica”. Non aggressiva, che ci faccia comunicare senza distruggere le nostre identità, lasciando integra la biodiversità culturale del pianeta. Una lingua delle pari opportunità per tutti i popoli. A questo serve l’esperanto. Un miracolo linguistico che dobbiamo a persone con dietro nessuno Stato, nessuna filosofia, nessuna religione, nessun capitale, armati da oltre 122 anni solo della volontà di dialogare senza prevaricazioni e che ci permette, oggi, di poter salvare il patrimonio linguistico-culturale della Terra senza dover rinunciare a tutto ciò che di positivo c’è nella globalizzazione. Il vecchio continente finalmente innova, l’Europa esporta democrazia, ma non lo fa, come l’America di Bush, con la guerra: lo fa con la potenza del dialogo, con una lingua di democrazia diretta. E ora tutti a studiare l’esperanto, l’unica lingua che non è mai stata imposta a nessuno. Ma attenzione! Anche se facile da studiare è pur sempre una lingua, non prendetela sottogamba, anche se di essa Umberto Eco ebbe a dire: «Mi sono accorto che l’esperanto è un capolavoro».
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