Loro protestano, la Ue senza ricette si spacca

Dalla Rassegna stampa

Per il lavoro, la solidarietà e la crescita. Contro la disoccupazione e le politiche di austerity che hanno innescato drammatici processi recessivi nel Vecchio Continente. L’Europa dei lavoratori è scesa in piazza in 23 dei 27 paesi dell’Unione, ma è stata soprattutto l’Europa del sud a vivere una lunga giornata di tensione con lo sciopero generale proclamato in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. Decine di migliaia di manifestanti hanno raccolto l’appello della Confederazione europea dei sindacati, ma gli incidenti hanno riguardato in primo luogo la Spagna, in ginocchio con una disoccupazione oltre il 25%, e l’Italia.
Nel nostro paese la Cgil ha indetto uno sciopero di 4 ore con manifestazioni in 100 piazze che si è saldato, in molte città con i cortei degli studenti medi e universitari. Momenti di tensione si sono vissuti nella capitale tra scene di guerriglia sul Lungotevere e cariche della polizia, mentre a Torino e Padova ci sono stati i feriti più gravi. Decine i fermi in tutta Italia e tre gli arresti in una giornata che ha visto la rabbia di chi non ha futuro saldarsi con quella di chi non ha lavoro o lo potrebbe perdere.
La leader della Cgil Camusso ha ricordato come la politica del rigore di un anno del governo «ha tolto fiducia e speranza ai giovani». A chiedere un futuro di sviluppo sono stati ieri i lavoratori europei per una mobilitazione che non trova confronto con il recente passato e vede i sindacati tedeschi a fianco di quelli greci e portoghesi con una solidarietà che supera le rigide posizioni delle rispettive cancellerie non solo sui singoli vincoli dei bilanci nazionali ma anche sul bilancio comunitario.
Alla vigilia del consiglio europeo che dovrebbe occuparsi del bilancio comunitario per i prossimi anni, sono i cittadini europei a chiedere non più politiche del rigore ma per lo sviluppo in un momento in cui, secondo le statistiche rese note ieri da Eurostat, la produzione industriale nell’area dell’euro è scesa del 2,5% a settembre (2,3% nell’Ue a 27). Una crisi che ormai si avverte sensibilmente non solo in Irlanda o in Portogallo, dove la produzione industriale è arretrata di oltre il 12%, ma anche in Francia e in Germania dove il calo è stato superiore al 2%. Una recessione che ha messo in ginocchio la Grecia dove il calo del Pil è stato di oltre 7 punti percentuali nel terzo trimestre ma che non risparmia neanche l’economia britannica che, dopo essere uscita dalla recessione nel terzo trimestre di quest’anno grazie ai Giochi olimpici, nel quarto trimestre dovrebbe registrare una nuova flessione.
Una crisi da cui si può uscire non tanto e non solo con vie nazionali alla crescita quanto piuttosto con politiche comunitarie che potranno essere ripensate solo e unicamente se l’Europa disporrà nei prossimi anni di un bilancio adeguato.
È qui che diventa centrale non solo il dibatto sul bilancio pluriennale comunitario 2014-2020 ma anche il prossimo consiglio europeo, convocato il 22 e il 23 del mese. Una partita che vede tutti contro tutti e che interessa non solo i governi ma anche le singole istituzioni comunitarie. Se martedì il parlamento europeo ha bloccato i negoziati con il consiglio europeo per il bilancio 2013 perché non c’è accordo tra gli stati membri sui fondi aggiuntivi necessari per 9 miliardi di euro, ieri è toccato alla Commissione bocciare la proposta del presidente del Consiglio europeo Van Rompuy di effetttuare tagli per 75 miliardi di euro rispetto al budget di 1.033 miliardi di euro indicato da Barroso & Co. per il 2014-2020. La frattura in atto non è solo tra gli stati membri, che puntano a ridurre il loro contributo, e il parlamento che invece intende incrementarlo, ma anche tra contributori netti e debitori. Se la cancelliera tedesca Merkel vuole trovare un accordo a tutti i costi, la Francia di Hollande ha fatto sapere di non accettare la riduzione dei crediti alla Pac, mentre Monti sostiene un bilancio orientato al futuro. Posizioni che si scontrano con le richieste di Cameron di tagliare.

 

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