Londra agli Usa: «Le accuse sull'Iraq estremamente serie»

È la voce dell'alleato storico degli Stati Uniti a invocare chiarezza. «La lettura dei documenti di Wildleaks è scioccante e le accuse che emergono sono molto serie. Suppongo che l'amministrazione Usa darà la sua risposta, anche se non sta a noi dire cosa fare». Il commento, duro, è del vicepremier britannico Nick Clegg.
D'accordo che il politico liberal-democratico si è sempre detto contrario alla guerra in Iraq, ma la sua presa di posizione fa capire che sono in molti ad attendersi un'indagine. «Tutto lascia pensare che le regole di base del conflitto siano state violate o che la tortura sia stata tollerata», ha aggiunto auspicando che quanto è emerso dal «diario di guerra» iracheno sia valutato con il rigore necessario. A giudizio degli osservatori la sortita di Clegg, oltre a creare imbarazzo nei rapporti con Washington, potrebbe avere ripercussioni all'interno del governo. La reazione del ministero della Difesa era identica a quella del Pentagono: le rivelazioni mettono in pericolo i nostri soldati.
Il messaggio di Clegg segue gli interventi del commissario Onu sulla tortura e di numerose associazioni per i diritti umani. A loro giudizio nelle carte vi sono prove in abbondanza su abusi, uccisioni ai posti di blocco, uso ingiustificato della forza da parte degli alleati nel periodo 2003-2009. Tra i casi citati quello di una bimba di 8 anni. Un blindato britannico entra in una strada di Bassora e si ferma vicino ad un gruppo di minori. Dalla torretta spunta un soldato. Imbraccia il fucile, spara.'A terra senza vita resta una piccola, vestita di giallo. Per la stampa inglese quella bambina è Hanah Saleh Matrud, morta il 21 agosto 2003. Due mesi dopo, il comando britannico aveva confermato l'incidente ma secondo la versione ufficiale, il militare avrebbe esploso un colpo in aria. Dai civili ai terroristi. Il temuto tagliatore di teste, Abu Musab Al Zarkawi poteva essere catturato il 17 marzo 2005. Gli inglesi ricevono una soffiata sulla sua presenza in una vettura diretta a Bassora. Interviene un elicottero che, però, segue l'auto solo per una quindicina di minuti. Poi deve tornare alla base per mancanza di carburante. Quando l'intelligence torna in zona è troppo tardi. Nel documento si afferma che Zarkawi è scappato.
La partita con il leader qaedista si chiuderà 15 mesi dopo quando verrà ucciso in un raid sferrato dalle truppe speciali Usa. In un file pubblicato dal settimanale inglese Observer, si afferma che il contingente italiano a Nassiriya venne informato sul pericolo di un nuovo attentato nel febbraio 2004. Un nucleo di Al Qaeda composto da un saudita e un libanese stava preparando un'azione kamikaze. Una ripetizione di quello che era avvenuto nel novembre del 2003 quando un kamikaze aveva provocato la morte di 19 italiani e nove iracheni.
In realtà, se si controllano le cronache di quei mesi, gli allarmi attentati erano piuttosto frequenti e riguardavano tutti i contingenti. Infine un capitolo dedicato alle armi di distruzione di massa. Le truppe americane hanno continuato a cercarle in Iraq fino al 2008. E forse anche dopo. Questo è quanto emerge da alcuni dei report resi pubblici. Le unità statunitensi hanno verificato segnalazioni e analizzato molti dati. Non hanno trovato gli arsenali - Saddam Hussein non li aveva più da tempo -, però si sono imbattuti in casi interessanti. Nel 2007, un veicolo degli artificieri scopre dei proiettili da 155 mm.
Le analisi confermano la presenza di sostanze chimiche. Altra scoperta: vecchie munizioni per artiglieria contenenti sempre agenti chimici. L'intelligence ritiene che fossero residuati finiti nelle mani di una cellula di Al Qaeda che voleva impiegarli per un attacco «non convenzionale». Un'altra segnalazione riguarda il possibile trasferimento dall'Iran all'Iraq di gas neuro-paralizzanti. Ora bisogna capire quali saranno le contromosse degli americani. Fino ad oggi la risposta di Washington si è concentrata sui possibili rischi per militari che potrebbero essere esposti a ritorsioni. A sostegno di queste tesi hanno ricordato le parole di un capo talebano dopo le precedenti rivelazioni sull'Afghanistan: «Anche noi stiamo studiando le carte».
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