L'ombra del Kirghizistan

L’ombra del neoimperialismo russo ha le fattezze di VladimirPutin, e incombe sulla festa di Barack Obama a Praga. Il presidente americano celebra la storica firma del trattato sulle armi nucleari con Dimitri Medvedev.
Una vittoria della sua dottrina sul graduale disarmo atomico. Ma un sospetto s’insinua durante la solenne cerimonia: che ci sia la regìa di Mosca dietro gli eventi del Kirghizistan. E che da quel paese stia iniziando una "riconquista" russa dell’Asía centrale, una minaccia per gli equilibri geopolitica mondiali.
La presa di potere dell’opposizione toglierà all’America un alleato prezioso nella guerra in Afghanistan? Il governo del Kirghizistan appena deposto aveva concesso un’importante base militare agli Stati Uniti, un perno logistico per le offensive contro i Taliban. Obama non nasconde la sua preoccupazione, in serata a
Praga annuncia di «sorvegliare costantemente la situazione». Aggiunge che «gli Stati Uniti puntano
a mantenere relazioni produttive con il Kirghizistan». Il suo consigliere strategico Ben Rhodes, del National Security Council, rivela che nei colloqui di Praga il presidente russo ha fornito garanzie precise: «Medvedev ci ha detto che la Russia non c’entra, che il nuovo governo del Kirghizistan non è antiamericano, che Mosca non farà nulla per sottrarci la disponibilità della base militare in quel paese».
Ma chi conta davvero a Mosca? Il sorridente, "anglosassone" Medvedev venuto a Praga? Oppure l’ excapo del Kgb, l’uomo del pugno di ferro, il premier Putin che si è tenuto ben lontano dalla firma dello Start 2? Non tranquillizzano gli americani, le voci sui contatti tra Putin e i protagonisti dell’insurrezione. Tantomeno le uscite di un generale russo che ha già rimesso in discussione la base militare usata dagli Usa. Dietro il rovesciamento del governo kirghizo, la Casa Bianca vede spuntare uno scenario inquietante. La Russia ha recuperato i suoi muscoli economico-finanziari, grazie alla forte ripresa del prezzo del petrolio. Torna d’attualità l’antico progetto di Putin: ricacciare indietro le "rivoluzioni arancioni" che hanno spostato diverse repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale nell’orbita americana. Un vasto anello di Stati che per Washington hanno valore strategico. Non solo come basi di appoggio nella guerra in Afghanistan, ma anche come zone ricche di risorse energetiche.
Un crocevia in bilico, vicino ad altri paesi nucleari e instabili come il Pakistan, conteso da altre potenze come la Cina e l’India. Il sospetto dell’America, è che la Russia stia rilanciando in quella zona il "Grande Gioco", la partita storica che in passato oppose l’impero britannico a quello degli Zar. Una sfida che oggi si arricchisce di nuove dimensioni, dal gas naturale ai santuari del terrorismo islamico. Lo stesso Medvedev, pur accettando il principio delle sanzioni contro l’Iran, ha posto dei paletti e delle condizioni precise: «Non devono infliggere sofferenze alla popolazione; sono da escludere misure come l’embargo sulla benzina». E’ davvero una preoccupazione umanitaria? O dietro si nascondono quei legami economici con Teheran che la Russia non vuole sacrificare? Obama sottolinea «l’inizio di una nuova èra» nella relazione con Mosca. Ma non può fugare il dubbio che lo Start 2 sia una tregua su uno scacchiere solo. Mentre su altri fronti il neoespansionismo russo si riserva libertà di manovra.
E il timore che hanno espresso gli undici leader dell’Europa dell’Est, ieri sera a cena con Obama a Praga. Dopo l’Asia centrale, nelle priorità geopolitiche di Mosca c’è il rilancio dell’influenza verso l’ex Patto di Varsavia. I ricatti energetici contro l’Ucraina, l’Ungheria e i Paesi baltici sono ancora freschi nella memoria. Perciò nell’Europa dell’Est la stella di Obama non è così fulgida, e affiorano sprazzi di nostalgie per l’èra di George Bush, per l’allora segretario alla Difesa Donald Rumsfeld che esaltava (contro Berlino e Parigi) la«nuova Europa», anti-comunista e filoamericana.
Obama sa che da Varsavia a Praga c’è il timore che gli accordi tra Washington e Mosca avvengano a spese loro. Perciò ha tenuto duro sullo scudo antimissile: l’ombrello americano sull’Europa non si negozia. È una garanzia che deve dare anche alla sua opposizione repubblicana. Vuole che la ratifica dello Start2 passi al Senato di Washington quest’anno. Ma a novembre si vota per le legislative, e in campagna elettorale le intese bípartísan non sono facili. Richard Lugar, il più autorevole senatore repubblicano nella commissione Esteri, ha detto che voterà la ratifica. Ma un altro leader della destra, John McCain, fa le bizze. Il Kirghizistan, come la guerra Russia-Georgia nel 2008, sarà un cavallo di battaglia per i "falchi" repubblicani.
© 2010 La Repubblica. Tutti i diritti riservati
SU
- Login to post comments