L'ombra dei tecnici sui partiti

Dal governo dei tecnici al partito dei migliori il passo è più breve di quanto si possa immaginare. Un quasi un ventennio di bipolarismo muscolare ha lasciato soltanto un diffuso senso di sfiducia nella popolazione. Il gioco delle primarie e la demagogia del referendum ha indebolito il ruolo delle segreterie nazionali. L'interventismo dell'Europa ha ribaltato le priorità e riscritto gli obiettivi. Ecco allora che nell'immaginario collettivo già si intravede la figura del politico cooptato dalla società civile (il mondo dell'università, l'impresa, la cultura e il non profit) totalmente staccato dalle logiche spartitorie e dagli interessi clientelari dei partiti. Secondo un sondaggio il 22 per cento degli elettori voterebbe per un partito dei tecnici. A subire il maggiore ridimensionamento sarebbero proprio le due forze maggiori, i principali attori di questo bipolarismo di plastica che volge al termine, Pdl e Pd.
Per Giovanni Sabbatucci, professore di Storia contemporanea all'università La Sapienza di Roma, si tratta dell'ulteriore conferma «della crisi delle classi dirigenti dei partiti. Mi sarei atteso un risultato ancora maggiore a favore dei tecnici che in questo momento godono di una popolarità maggiore, rispetto ai politici di professione. Ma nel momento in cui dovesse nascere il partito dei tecnici ci troveremmo di fronte agli stessi meccanismi e logoramenti che caratterizzano le formazioni attuali».
Non si dice meravigliato neanche Paolo Feltrin, professore di Scienze politiche all'università di Trieste: «Chi è al governo in una fase iniziale e con risultati positivi gode del favore dei cittadini, grazie anche alla popolarità data dai media. E a questo bisogna aggiungere il crescente discredito dei partiti. Va però tenuto presente che, per principio, nel momento in cui una qualsiasi lista si candida perde la caratteristica tecnica per diventare politica».
Paolo Pombeni, professore di Storia Contemporanea all'università di Bologna, pone un altro interrogativo: «Oggi è abbastanza normale che abbiano consenso, ma quando dovessero nel concreto scendere in politica gli elettori avranno la stessa fiducia e voteranno davvero per loro? In passato le performance elettorali anche di grandi personalità sono state modeste, perché non sempre la stima personale si traduce in consenso. Più che votare per i tecnici, sarebbe più giusto dire che si vota per una classe politica diversa, sperimentata nell'azione di governo e scelta in un altro modo. Francamente ho dei dubbi che l'attuale esecutivo, molto composito, possa automaticamente trasformarsi in un partito. Alcuni hanno dichiarato di non avere velleità politiche e altri non mi sembrano adatti. Si ha l'impressione di trovarsi di fronte a una ulteriore raccolta di voto antipartitico, direi una sorta di grillismo alla rovescia, piuttosto che una seria ipotesi politica. Tiene sempre banco la speranza che arrivi un mago a risolvere la situazione italiana».
Ma più che di partito dei tecnici il professor Sabbatucci intravede la possibilità che ci possa essere ancora «il governo dei tecnici che, stante la debolezza dei partiti, vada oltre la scadenza prefissata. L'affidarsi ai tecnici non è una novità per il nostro Paese. È tornata molto spesso, in forme diverse, da quello "del buon ragioniere " prefigurato da Guglielmo Giannini, fino al governo dei"capaci e degli onesti" di Scalfari e Visentin. Ma è un mito. Fermo restando che politici non di professione, da Francesco Saverio Nitti a Romano Prodi, hanno avuto stagioni politiche di governo».
Su questo aspetto concorda il professor Feltrin: «In questi venti anni di Seconda Repubblica abbiamo diverse esperienze di persone che scendono nella vita politica dopo aver fatto qualcos'altro: Berlusconi, Prodi, Dini, Di Pietro, Tremonti, Visco e altri. Nell'attuale governo sembra già destinato a una carriera politica il "tecnico" Corrado Passera. Non è escluso che possa esserci un partito nuovo, come lo è stato per Di Pietro e Dini, ma non sarà un partito dei tecnici. Sul proseguimento di questo governo vorrei chiarire che questo potrà essere possibile soltanto se, dopo la consultazione elettorale, non ci sarà una chiara maggioranza. Ma un governo di Grande coalizione potrebbe avere anche un leader politico».
Dall'analisi del sondaggio emerge la chiara difficoltà dei partiti legata alla loro legittimazione e a selezionare la classe dirigente che, secondo il professor Sabbatucci, andrebbe reclutata «attraverso dei canali che oggi non esistono. Una voltasi faceva attraverso le amministrazioni locali e le sezioni, oggi ci si affida da una parte alle primarie, un sistema molto discutibile e dannoso, dall'altra ai tecnici proprio per surrogare la mancanza di una selezione efficace. Le primarie ritengo che sia una procedura tutt'altro che limpida e soprattutto perché non rispondono al requisito di ogni procedura elettorale corretta: conoscere il corpo elettorale».
Più che un partito dei tecnici Paolo Pombeni prefigura un loro ingresso nelle forze politiche: «Se oggi ci fosse un partito, ma dovrebbe essere organizzato, che riuscisse a portare al suo interno un gruppo qualificato di tecnici incasserebbe un forte dividendo in termini di voti». Uno scenario auspicabile anche per Sabbatucci che precisa: «Sarebbe positivo che tutto questo passi attraverso i partiti che ritornino a fare il loro mestiere, senza questa delega a un'entità politicamente indefinita. Può essere una necessità rivolgersi ai tecnici, ma è una negazione della politica».
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