La Lombardia senza centrali è leader nel business atomico

Dalla Rassegna stampa

La Lombardia può forse permettersi il lusso di rifiutarsi di ospitare una centrale nucleare, perchè «vicina all'autosufficienza energetica» (Formigoni dixit). Ma non può permettersi di snobbare la maxitorta che la costruzione di un impianto di quelle dimensioni porterebbe con sè. La centrale, come hanno rivelato i Verdi (immediatamente smentiti da Enel) potrebbe essere eretta a Montalto di Castro (Viterbo), a Borgo Sabotino (Latina), Garigliano (Caserta), Trino Vercellese (Vercelli , Caorso (Piacenza), Oristano, Palma (Agrigento) o Monfalcone (Gorizia). Oppure in qualunque altro punto della Penisola. Poco importa: ciò che conta, per la filiera lombarda, è che i lavori vengano avviati.
Sul piatto, secondo il sottosegretario del ministro dello Sviluppo economico con delega all'energia, Stefano Saglia, ci sono almeno 2 miliardi di euro. Commesse ed appalti che chiamano a raccolta le competenze delle circa sessanta realtà che, nelle settimane scorse, hanno preso parte alla supply chain meeting del nucleare a Roma, alla presenza del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e dall'amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti. Entro luglio dovrebbe essere pronta la "short list" dei fornitori selezionati. E la Lombardia cerca un posto in prima fila.
«Rispetto ai fasti degli anni Sessanta-Ottanta - riconosce Saglia-, in cui l'Italia era in grado di costruire fino a circa il 9o% di un impianto, oggi, a seguito dell'uscita dal nucleare, il patrimonio delle nostre competenze si è ridotto. A farne le spese è stata soprattutto l`industria lombarda, che è riuscita comunque a mantenere una forte specializzazione in attività strategiche, come la fabbricazione di generatori di vapore, la componentistica varia, le tubazioni o piping, grossi forgiati, ingegneria civile».

Che ruolo potrebbero assumere queste aziende lombarde quando saranno avviati i lavori? L'8o% di una centrale è costituito da lavori di ingegneria, opere civili, componentistica, sistemi termo-elettromeccanici, alla cui realizzazione potranno partecipare le aziende lombarde qualificate. Per quanto riguarda i settori industriali interessati bisogna considerare che circa il 30% degli investimenti per la realizzazione di un impianto riguarda le forniture meccaniche, un settore nel quale le industrie lombarde sono ai primi posti nel mondo. In generale, eccetto la filiera del combustibile e la tecnologia del reattore, tutte le attività della filiera sono ben presidiate a livello regionale in modo adeguato per competenza, ma moderato per spazio acquisito sul mercato. Insufficienti, invece, sono le dimensioni degli operatori nazionali.

Quali le ricadute economiche sul territorio?
Per farsi un'idea concreta della dimensione economica e del ruolo che tali industrie potranno giocare nella realizzazione del programma nucleare, basti pensare che una centrale di grosse dimensioni (1.ooo MWe) costa circa 3,5 miliardi. Il sistema-Italia sarà obbligato a delocalizzare circa 1,5 miliardi, per l'assenza di una tecnologia made in Italy, ma oltre 2 miliardi potremmo tenerli in casa. Si tratta di circa il 6o-65% delle attività industriali per la costruzione di una centrale. Il ritorno dell'Italia al nucleare passerà necessariamente per un recupero delle forniture e delle capacità industriali delle industrie lombarde: ciò permetterà di aumentarne i livelli di produzione, di rafforzarne le dimensioni industriali, anche attraverso una crescita del livello occupazionale.

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