La locomotiva Usa e la ripresa fragile

Negli Stati Uniti la ripresa, che per l’Italia il ministro Tremonti prevede per il 2010, è già arrivata. Un’uscita dalla crisi più rapida, quindi, ma anche più fragile (come dimostrano i dati di ieri, revisione al 2,8 dal 3,5% della crescita del Pil nel terzo trimestre): riemergono gli squilibri strutturali, dal disavanzo commerciale alla crisi immobiliare. Italia meno dinamica ma anche meno vulnerabile: famiglie poco indebitate che consumano meno, ma non fino al punto di rivoluzionare il loro stile di vita. Banche in difficoltà ma non con le spalle al muro. Imprese che arrancano, ma, alle loro spalle, il sistema di sicurezza sociale nel complesso tiene. Stati Uniti che hanno reagito con più vigore a una crisi che, dall'altro lato dell'Atlantico, era (ed è) molto più profonda. Gli interventi di salvataggio delle banche e la manovra di stimoli fiscali, hanno fatto sì che in America il Pil tornasse a crescere ancora prima che in Europa, già nella seconda metà del 2009.
Un cambiamento di rotta più rapido, ma anche più fragile. Come sempre l'America si dimostra flessibile, ma stavolta il cambiamento è epocale. Cambia la mentalità del consumatore, non solo il livello dei consumi. I dati di ieri - revisione dal 3,5 al 2,8%, della crescita del Pil Usa nel terzo trimestre, mentre il ministro Tremonti prevede per l'Italia una crescita dell'1% nel 2010 dopo il meno 5% di quest'anno - riportano tutti con i piedi per terra, dopo che la ripresa delle Borse aveva diffuso un certo ottimismo. Per il nostro Paese, debilitato dalla crisi, si delinea una lunga convalescenza. Ci sarà ancora da soffrire: il debito pubblico continua a rappresentare una minaccia e gli alti costi del welfare europeo rendono problematici i necessari recuperi di competitività. Ma, proprio perché non molto indebitate, le nostre famiglie hanno assorbito meglio la grossa distruzione di ricchezza prodotta dalla crisi finanziaria del 2008 e dalla recessione. E ora che si delinea un po' di ripresa, chi ha un forte sistema manifatturiero orientato all'export si prepara a cogliere qualche occasione positiva. Vale per l'Italia e, ancor più, per la Germania dove torna a crescere l'indice della fiducia delle imprese.
Diversa la situazione degli Usa: la sua economia dei servizi è meno vulnerabile ai crolli di fatturato che si determinano nell'industria. Ma appena c'è un po' di ripresa, riemergono anche gli squilibri strutturali che questa crisi avrebbe dovuto correggere: col Pil torna a crescere anche l'enorme disavanzo commerciale dell'America con l'Asia e il resto del mondo.
Squilibri esterni ma anche interni, perché la crisi negli Stati Uniti ha prodotto danni molto estesi. Non solo la distruzione di patrimonio (finanza e valori immobiliari) è stata molto più elevata rispetto all'Europa continentale, ma l'elevato indebitamento delle famiglie e la perdita di 7,5 milioni di posti di lavoro continuano ad alimentare la spirale della crisi immobiliare: milioni di alloggi abbandonati, milioni di mutui in "default".
La casa è il vero motore dell'impoverimento del Paese e una minaccia permanente per un sistema finanziario che ha ritrovato un minimo di equilibrio grazie ai sostegni del Tesoro e della Federal Reserve. Sostegni che presto potrebbero venir meno: la "benzina" dell'intervento pubblico Usa (denaro a tasso zero, incentivi per l'acquisto di auto e case, aiuti federali agli Stati) sta per finire e Obama ha già detto che, col debito pubblico ormai oltre i 12 mila miliardi di dollari, nuovi sostegni pubblici finanziati in deficit, teoricamente auspicabili, rischiano di essere un rimedio peggiore del male.
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