L'occasione di un gesto di follia per recuperare un po' di normalità

Antonio Di Pietro ha reagito in modo rivelatore. Quando non si conosceva ancora l’identità disturbata dell’aggressore, ha condannato il ferimento di Silvio Berlusconi aggiungendo che però il premier con i suoi comportamenti «istiga alla violenza». Le parole del capo dell’Italia dei valori hanno certificato con candore quello che i più hanno pensato all’inizio: l’aggressione andava considerata l’epilogo «normale», nel senso di prevedibile, di un clima d’odio. Il fatto che a commetterla sia stato un uomo con problemi psichici ha sorpreso: quasi fosse scontato che prima o poi qualcosa del genere doveva accadere.
È il segno di un avvelenamento progressivo e inesorabile del clima intorno al presidente del Consiglio. Lo stesso Berlusconi ieri sera, dal palco di piazza Duomo, a Milano, si era lamentato perché veniva raffigurato dagli avversari come «un mostro». Ebbene, la sensazione è che di colpo l’opposizione si sia accorta dei pericoli di una deriva polemica della quale il presidente del Consiglio è stato insieme protagonista e vittima; e che da ieri costringe tutti a fare i conti con una violenza verbale dagli effetti perversi. Giorgio Napolitano, che la osserva da tempo con inquietudine crescente, ha visto nell’episodio una conferma dei suoi peggiori timori. Ed ha chiesto di fermarsi.
La sua solidarietà a Berlusconi non lascia margini di equivoco; né il drammatico appello «perché ogni contrasto politico e istituzionale sia ricondotto entro limiti di responsabile autocontrollo, prevenendo e stroncando ogni impulso e spirale di violenza». Possono sembrare parole troppo allarmate rispetto all’epilogo per fortuna «solo» drammatico che l’imboscata dello squilibrato ha provocato. Eppure, riflettendoci, danno la misura vera della gravità di quanto è accaduto; e soprattutto di quanto potrebbe succedere se quella che il capo dello Stato chiama «spirale» dovesse continuare.
Un capo del governo che viene colpito e ferito in volto dal lancio di un oggetto alla fine di un comizio politico pone senz’altro problemi di sicurezza. E porta a chiedersi se non ci sia stata qualche smagliatura nelle misure a sua protezione. Ma rimane la consapevolezza che «qualcosa» di brutto fosse nell’aria: lo stesso Berlusconi lo aveva confidato al sottosegretario Paolo Bonaiuti, che lo aveva accompagnato in piazza Duomo. Le reazioni dei presidenti di Senato e Camera, di quello della Corte costituzionale e dei vertici del centrosinistra, però, dimostrano la presa di coscienza di un conflitto da riportare in ambito politico.
Da questo punto di vista, l’aggressione al presidente del Consiglio potrebbe rivelarsi uno spartiacque: il discrimine tra una fase inquinata da uno scontro anche fra istituzioni senza sbocco né speranza di tregua, ed un’altra segnata da una maggiore coscienza delle proprie responsabilità. È questo che invoca Napolitano, assecondato dal Vaticano e dalla Cei che come lui vedono a rischio la coesione nazionale. E indovinano in un linguaggio impregnato di violenza i semi di qualcosa che può avvicinarsi ad una frattura dell’Italia. La differenza è fra chi evoca e quasi si augura il conflitto permanente, magari per legittimare il proprio estremismo; e chi vuole mettere fra parentesi l’episodio di ieri.
Probabilmente è vero, come sottolinea il Pdl, che dalla vicenda Berlusconi esce rafforzato, ed i suoi avversari indeboliti. Ma l’episodio va al di là delle convenienze politiche contingenti. La cosa singolare è che per cominciare a trarre conclusioni ragionevoli sia stato necessario il gesto inconsulto di una persona considerata, all’inizio, come un antiberlusconiano solo un po’ più arrabbiato di tanti altri.
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