La lobby che manca

Dalla Rassegna stampa

La battuta dell'anno l'ho sentita per strada ieri: «Povero Monti, da commissario europeo fermò Bill Gates e qui non riesce neanche a liberalizzare le farmacie». Dov'è la battuta? Che a farla era un tassista. Ebbene sì, in questo Paese dove tutti, dai farmacisti ai tassisti (per tacere dei papaveri ministeriali a difesa del doppio stipendio), hanno un nume tutelare in Parlamento, l'unica categoria rimasta fuori dai pacchi natalizi sono gli ospiti degli ospedali psichiatrici giudiziari. Ai tempi del fascismo si chiamavano manicomi criminali e da allora non è cambiato nulla, solo la targhetta sugli edifici. Napolitano li ha definiti «luoghi indegni di un Paese appena appena civile». E in quel doppio «appena» affiora la pena di chiunque abbia visto il filmato della commissione d'inchiesta: uomini trattati peggio di bestie rognose, legati ai letti con un buco nel mezzo per far scendere l'urina. Seicento di loro non sono pericolosi: uno è finito dentro nel 1992 per aver fatto irruzione in banca con una mano in tasca gridando «questa è una rapina». Fu giudicato incapace di intendere e di volere e mandato in uno di quei centri immondi. È ancora lì e chissà quanto ci resterà, perché fino a ieri sera la proposta della commissione Marino di creare veri centri di cura era stata dimenticata in un cassetto dagli estensori del decreto sulle carceri.

Mi rendo conto che i problemi che ci attanagliano sono ben altri: uno per ogni lobby rappresentata in Parlamento. Ma oggi lasciatemi fare il lobbista solitario di quella povera gente che non porta voti a nessuno, soltanto l'eco di una vergogna che ci riguarda tutti.

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