«Liu Xiaobo libero a Oslo Chiediamolo alla Cina»

Se il mondo ha immediatamente esultato dopo l'annuncio del premio Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo, in carcere fino al 2013, l'Italia si è invece limitata a esprimere una cauta soddisfazione perla decisione dell'Accademia svedese. Per il governo ha parlato il ministro degli Esteri Franco Frattini, dichiarando che «L'assegnazione del Nobel al dissidente cinese Liu Xiaobo incarna il riconoscimento internazionale per tutti coloro che, a prescindere dalla nazionalità di appartenenza, lottano per la libertà ed i diritti della persona». E ha poi lasciato cadere la questione nel vuoto.
Liu Xiaobo continua a restare in prigione. Lunedì scorso la notizia che sua moglie, Liu Xia, è stata messa agli arresti domiciliari. La censura di Pechino ha oscurato la notizia del Nobel sui canali televisivi e le radio. Non tutti i cinesi, insomma, sanno che un loro connazionale ha ricevuto il premio Nobel. Di fronte a tutto questo, molti Paesi hanno chiesto un segnale forte da Pechino. A cominciare da Barack Obama, che ne ha chiesto la liberazione, seguito a ruota dal premier giapponese, Naoto Kan. L'Italia, invece, è rimasta in silenzio, non cogliendo l'occasione per parlare nemmeno durante la recente visita del premier Wen Jiabao a Roma, che ha firmato con Silvio Berlusconi un accordo di cooperazione economica tra i due Paesi. «Sulla vicenda ho assistito a un silenzio assordante», dice al Riformista Rosa Villecco Calipari, vice capogruppo del Pd alla Camera, che ha preso l'iniziativa di stilare un appello al governo cinese, affinché dia la possibilità a Liu Xiaobo di recarsi a Oslo a ritirare il premio Nobel. L'idea è stata subito sposata da Beppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, e in pochi giorni ha raccolto adesioni bipartisan, sia nel mondo politico che in quello della cultura e della comunicazione. «Quando ho avuto notizia che la moglie di Liu Xiaobo era stata messa gli arresti domiciliari ho pensato che bisognasse fare qualcosa e ho trovato subito il sostegno di Beppe Giulietti, di Dario Fo e di Franca Rame», continua l'onorevole Calipari, «Ma anche il mondo della cultura e dei media ha risposto in modo positivo».
La lista è lunga, da Marco Bellocchio a Daniele Lucchetti e Giuliano Montaldo, e poi giornalisti come Corradino Mineo, Tiziana Ferrano, Roberto Morrione, Santo Della Volpe. Tra i politici, invece, il Pd si è espresso in maniera compatta, ma è anche arrivata l'adesione di molti esponenti del centrodestra, come Margherita Boniver, Fabio Granata e Rocco Buttiglione dell'Udc. «Iniziativa sacrosanta, lo sta chiedendo il mondo intero. Liu Xiaobo è il classico "prigioniero di coscienza", condannato, imprigionato e perseguitato solo per le sue idee», dice al Riformista Margherita Boniver, «non ha mai commesso un atto violento in vita sua, è il premio Nobel più bello che sia mai stato assegnato. I cinesi dovrebbero andare fieri di Liu Xiaobo e non perseguitarlo». L'obiettivo dell'iniziativa, alla quale è possibile aderire firmando sul sito di Articolo 21 (www.articolo2l.org), è di sollecitare il governo, affinché faccia pressioni su Pechino per permettere che Liu Xiaobo possa lasciare la prigione e andare a ritirare il Nobel. «Stiamo mettendo a punto una mozione in Parlamento aggiunge Rosa Calipari - ma siamo aperti alla società civile tutta. Tutti possono firmare l'appello. Il governo deve ricevere un messaggio forte e chiaro. Nonostante ospitassimo negli stessi giorni il premier cinese non si è alzata una voce».
Insomma, laddove si aprono battaglie sui diritti umani non si fanno distinguo tra Paesi e anche nei confronti dei Paesi amici si resta coerenti, «come ha fatto il presidente Obama, che ha iniziato la sua presidenza visitando come prima tappa l'Asia, ma che poi non è rimasto in silenzio di fronte a Liu Xiaobo. Un grande Paese come la Cina, che sta facendo dei cambiamenti strutturali con velocità impressionante, dovrebbe porsi in modo diverso di fronte a questo Nobel, cogliendo l'occasione per avviare un dibattito interno» conclude Rosa Calipari.
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