"L'Italia non intende aiutare Karadzic"

Nel giorno in cui è finalmente partito il processo che lo vede imputato all’Aja, l’Italia chiude la porta a Radovan Karadzic. Il ministro degli Esteri Franco Frattini, in risposta a una precisa domanda del Riformista a margine della riunione con i colleghi Ue a Lussemburgo, ha annunciato che il nostro Paese non intende «aiutare un criminale» che, sia pur non ancora condannato, è alla sbarra per genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità. Anche se l’ex leader serbo-bosniaco ha ottenuto lo scorso agosto un’ordinanza dello stesso Tribunale penale internazionale per l’Ex Jugoslavia (Tpi) che obbliga il governo di Roma a consegnare rapporti di intelligence che Karadzic ritiene possano scagionarlo perfino dall’accusa di aver architettato l’eccidio di 8.000 bosniaci musulmani a Srebrenica, la più grande strage commessa in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale.
«Collaboreremo con il Tribunale se ci sarà richiesto ma non collaboreremo ad iniziative difensive dilatorie. Noi vogliamo il processo e lo vogliamo in fretta», ha sentenziato il titolare della Farnesina, precisando di «non conoscere la sostanza» del materiale richiesto. In un’intervista concessa al Riformista il mese scorso, Karadzic aveva sostenuto che i servizi italiani «possiedono molte fonti di informazioni importanti» sul «contrabbando di armi destinate ai musulmani bosniaci» e sui «crimini commessi dai musulmani bosniaci contro la loro stessa gente al fine di provocare l’intervento internazionale», ma soprattutto alcune «conversazioni intercettate che potrebbero dimostrare la mia estraneità a qualsiasi atto criminale». In particolare, il pater patriae della Republika Srpska ritiene che il Sismi avrebbe captato una telefonata in cui l’ex presidente bosniaco musulmano Alija Izetbegovic avrebbe respinto la richiesta del sindaco di Srebrenica di evacuare la città prima dell’attacco delle truppe del generale Ratko Mladic, l’alter ego militare di Karadzic a cui stanno ancora dando la caccia i servizi segreti di mezza Europa. Un comportamento che – agli occhi dell’imputato dell’Aja – dimostrerebbe l’intenzione della leadership musulmana di ‘sacrificare’ la propria popolazione per guadagnarsi le simpatie della comunità internazionale.
Allo stesso modo, Karadzic pensa che i servizi italiani abbiano le prove di come i bombardamenti del mercato di Sarajevo nel 1994 e 1995 fossero stati architettati dai bosniaci musulmani «per mettere in cattiva luce i serbo bosniaci», che allora stavano assediando la città. Infine reclama rapporti italiani che dimostrerebbero l’esistenza di operazioni clandestine di riarmo dei bosniaci musulmani condotte con la complicità dell’Onu e dell’Agenzia per gli aiuti al Terzo mondo (Twra), in violazione dell’embargo sulle armi che era stato decretato dal Palazzo di Vetro. Le tesi di Karadzic – basate sulle teorie contenute in Intelligence e la Guerra in Bosnia, un libro dell’accademico olandese Cees Wiebes del 2003 – sono tutte da verificare: fonti diplomatiche a Sarajevo, per esempio, indicano che l’Italia non aveva alcuna presenza di intelligence in seno alla missione Unprofor delle Nazioni Unite. Per Frattini si tratta solo di «azioni difensive che nascondono velleità dilatorie», anche se lo stesso governo italiano sembra aver allungato i tempi della vicenda: avrebbe dovuto rispondere a Karadzic entro il 19 agosto, ma ha ottenuto una proroga prima fino al 28 settembre, ora fino alla fine di ottobre. Mentre nelle ultime settimane - spiega al Riformista il consigliere legale di Karadzic Peter Robinson - sono arrivate le risposte di altri Paesi chiamati in causa dall’ex leader serbo-bosniaco: quelle complete di Gran Bretagna, Norvegia, Malta, Belgio e Danimarca, e quelle parziali di Stati Uniti e Paesi Bassi. L’Italia si aggiungerà nei prossimi giorni? Frattini non ha sciolto il dubbio: «Non conosco la sostanza della questione, quindi non posso entrare nel merito, ma tutto quello che fosse riferito a documenti irrilevanti – ha detto - non troverà ovviamente la nostra collaborazione». Nel frattempo all’Aja, dopo la falsa partenza di lunedì, il giudice OGon Kwon ha fatto partire il processo malgrado l’assenza dell’imputato, che ritiene di non aver avuto tempo a sufficienza per preparare la sua auto-difesa.
Il procuratore Alan Tieger, leggendo di fronte alle Madri di Srebrenica gli undici capi d’accusa, ha descritto l’ex leader serbo-bosniaco come “il comandate supremo” di una guerra che ha causato 100mila morti e 2,2 milioni di sfollati, e lo ha accusato di aver «sfruttato le forze del nazionalismo, dell’odio e della paura per mettere in opera la sua visione di una Bosnia etnicamente divisa». Lunedì prossimo Karadzic avrà la possibilità di illustrare le tesi della sua difesa, incentrate principalmente sull’esistenza di un accordo di immunità che avrebbe stretto con l’ex inviato Usa Richard Holbrooke nel 1996 in cambio del ritiro dalla scena politica. Ma se continuerà a disertare l’aula, i giudici del Tpi hanno già indicato di essere pronti a imporgli un avvocato d’ufficio che consentirà di andare avanti lo stesso. Togliendo a Karadzic la possibilità di tenere in ostaggio il processo come fece l’ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, il quale – tra proclami politici, insulti alla Corte e intimidazioni di testimoni - riuscì a prolungare il dibattimento per quattro anni. Lasciando poi a bocca asciutta i parenti delle vittime che chiedevano giustizia, morendo in cella appena prima della lettura della sentenza.
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