La «lista Monti» tiene in ansia destra e sinistra

Non desta meraviglia che Bersani sia irritato per l'ipotesi di un Monti impegnato nella campagna elettorale. Glielo ha fatto sapere con una certa chiarezza: «si tenga fuori dalla contesa». Se lo farà, ha aggiunto a mo' di consolazione, «si potrà collaborare insieme nel nome dell'Italia». Frase generica nella quale si può leggere di tutto, anche la promessa del Quirinale. Così in poche ore il premier dimissionario ha potuto misurare tutta la diffidenza che lo circonda: da un Berlusconi furioso contro le capitali europee che lo irridono a un Bersani che vede scricchiolare la sua architettura elettorale.
Tutto questo serve a valutare la difficoltà del compito che è davanti al presidente del Consiglio se davvero prenderà parte alla battaglia politica. I duellanti principali, Berlusconi e Bersani, sono uniti su un punto: non vogliono il terzo incomodo. Soprattutto se si chiama Monti, con il profilo di un uomo di governo credibile all'estero e stimato in Italia quale che sia la durezza della politica economica (il sondaggio de La7 gli dava ieri sera un 45 per cento d'indice di popolarità).
Se andrà avanti per la sua strada, Monti dovrà prepararsi a subire attacchi e anche colpi bassi. Del resto, con la sola mossa delle dimissioni ha spinto a destra Berlusconi, imprigionandolo nelle sue contraddizioni populiste e rendendo ancora più anacronistica la reiterata candidatura; ma ha messo in ansia anche il centrosinistra, dove soprattutto i più "centristi" temono di essere schiacciati sulle posizioni di Vendola e di un certo sindacalismo. In altre parole, ci vuole coraggio e molta fiducia in se stessi per sfidare insieme il centrodestra e il centrosinistra. Tanto più che il tempo per organizzarsi è poco (meno di dieci settimane) e una decisione definitiva dovrà essere presa da Monti in fretta, comunque prima di Natale e subito dopo le dimissioni formali da Palazzo Chigi. Altrimenti si trasmetterà un messaggio ambiguo all'opinione pubblica. E si darà agli schieramenti politici che sono già in campagna elettorale un'idea di debolezza, anzichè di forza e determinazione come è stato nelle ultime ore.
Senza dubbio il premier è consapevole di queste difficoltà. Per adesso si muove con cautela e astuzia, lasciando parlare i fatti. Non a caso i mercati ieri hanno lanciato l'allarme instabilità per l'Italia. La responsabilità è stata attribuita tutta al ritorno in campo di Berlusconi, con ciò dimostrando che si è aperto un grande spazio vuoto nell'area moderata ed europeista. Quella che un tempo era la tipica area democristiana e liberaldemocratica e che oggi è sottorappresentata.
Ma il problema del premier uscente non è solo organizzativo. C'è anche il tema decisivo del rapporto con partiti e movimenti del cosiddetto «terzo polo» (che non ha mai visto la luce): da Casini a Fini, da Montezemolo ai delusi del Pdl. Monti può diventare - e in parte lo è già - il punto di riferimento di costoro, può lasciare che essi usino il suo nome per dare senso a una proposta elettorale. Ma il risultato non sarebbe clamoroso. Ridarebbe slancio, è vero, a formazioni che rischiavano un declino irreparabile. Ma forse non basterebbe a cambiare in modo drastico l'equilibrio delle forze nel prossimo Parlamento.
Caso diverso sarebbe se Monti, una volta sciolto il Parlamento, si rivolgesse direttamente agli italiani. Un appello esplicito in nome dell'Europa e della necessità di non disperdere il lavoro fatto nell'ultimo anno. Parole chiare in grado di colpire la mente e il cuore degli italiani. In tale ipotesi i partiti sarebbero costretti ad accodarsi, dovendo accontentarsi di gestire le candidature (e nemmeno tutte). Sarebbe la nascita di una vera leadership, votata a proseguire nel governo del paese. Ma per farlo occorre saper comunicare con l'abilità e la limpidezza dei grandi statisti del passato: Roosevelt per un verso, De Gaulle per un altro. La sfida sarebbe molto alta, ma anche i risultati potrebbero esserlo.
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