L'irrinunciabile trasparenza della pubblica amministrazione

È on line da qualche settimana l’appello Foia.IT, «iniziativa per l’adozione di un Freedom Information Act in Italia per il diritto di accesso alle informazioni della Pubblica Amministrazione». Un gesto semplice, immediato per sostenere una richiesta di trasparenza e serietà. Mentre ci si interroga sulle novità dei social network, sui limiti e le potenzialità di un flusso continuo di informazioni e comunicazioni, sulla nuova diplomazia dell’immediato o sull’ampiezza delle rivelazioni di Wikileaks rimane in secondo piano un punto essenziale: le regole di accesso e di disponibilità della documentazione; l’effettiva consistenza di fonti, archivi, pagine riservate. Non si tratta di una tema che riguarda solo chi si interessa di ricerca storica o si appassiona alla conservazione archivistica di tracce del passato. Investire sulla memoria, preservare il passato senza rinchiuderlo in recinti separati è il lievito della democrazia che si alimenta anche di questo, della consapevolezza di un percorso comune. Il nostro è un ritardo accumulato e pericoloso che accentua la distanza da chi ha già legiferato in materia. Negli Stati Uniti l’adozione del Freedom of Information Act disciplina dal 4 luglio 1966 – presidenza Lyndon Johnson - la possibilità di essere a conoscenza di atti e decisioni dei vari livelli della pubblica amministrazione. Un rapporto diretto tra cittadini e Stato, un accesso alle fonti che significa trasparenza, certezza delle regole, vicinanza e non di rado partecipazione. Richiesta di documenti attraverso la selezione di interlocutori attenti e ben informati, risposte in tempi certi e verificabili, materiale inviato dalle istituzioni federali ai domicili dei richiedenti.
Una trama di relazioni e di responsabilità reciproche. Uno strumento che rafforza e legittima le istituzioni le inserisce in un contesto comune le fa sentire e percepire come parte di una collettività. Va in questa direzione l’appello che in queste settimane sta raccogliendo consensi e adesioni (vicino a quota mille) sull’ipotesi di muoversi nel senso «del riconoscimento del diritto di tutti di chiedere conto delle scelte e dei risultati del lavoro amministrativo». Un testo di poche righe dal titolo «Un Foia anche in Italia» (www.foia.it) contiene piccoli segnali di una battaglia di civiltà che meriterebbe ben altro spazio: «Noi riteniamo che uno dei mali, e tra i più gravi, che colpisce la nostra Repubblica sia il cattivo rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione, e l’attuale legislazione che fa della pubblica amministrazione un corpo separato e opaco». Da qui si parte per chiedere che gli atti divengano trasparenti in modo da colmare parte del fossato che separa cittadini e istituzioni in ambiti condizionanti: la dimensione individuale, quella «del diritto di ognuno senza discriminazioni di alcun tipo, all’accesso, su semplice richiesta, dei documenti detenuti dalle pubbliche autorità». Non è poco, anche se di questi tempi può apparire lontano dalle urgenze di un sistema sottoposto a tensioni proprio sulla direttrice del rapporto tra eletti ed elettori sulla qualità della democrazia rappresentativa. In molti Paesi si discute della valenza degli atti elettronici, della disponibilità in digitale di documenti consultabili con semplice accesso alla rete. Una disciplina ancora incerta che dovrà stabilire regole e comportamenti, fissare limiti alla riproducibilità, garantire i diritti alla privacy e alla riservatezza. Il tempo degli immobilismi irresponsabili è ormai scaduto. In Italia la documentazione consultabile si attesta spesso ai primi anni del secondo dopoguerra, le condizioni di archivi e biblioteche non sono paragonabili ai parametri di studio e ricerca dei Paesi avanzati; il patrimonio mal conservato rischia di accentuare i tratti di un declino pericoloso. Se la cultura è un bene prezioso, uno dei possibili assi per uscire dalla crisi, occorre intervenire anche per via legislativa. Offrire gli strumenti necessari per conoscere comportamenti e scelte della pubblica amministrazione, rendere accessibili fonti e atti ufficiali, intensificare i processi di digitalizzazione necessari a valorizzare il nostro straordinario patrimonio di biblioteche, fondazioni, archivi e centri studi. Si è fatto molto poco in questi anni, spesso seguendo le indicazioni di tagli su bilanci in sofferenza. Sarebbe un segno importante quello di avviare una strategia di attenzione che possa avvicinare i cittadini ai processi decisionali, renderli partecipi di scelte e indirizzi di una pubblica amministrazione altrimenti lontana e impenetrabile.
© 2012 La Stampa. Tutti i diritti riservati
SU