L'Iran di Rohani tenta di rompere l'isolamento

Dalla Rassegna stampa

Cose «mai viste». Usa questa frase Obama per manifestare l’interesse, condito di un certo stupore, verso il nuovo corso iraniano, inaugurato con l’elezione del moderato Hassan Rohani alla presidenza lo scorso giugno. Rohani, dice il capo della Casa Bianca a TeleMundo, «cerca di avviare un dialogo con l’Occidente e gli Stati Uniti con modalità che non abbiamo visto in passato. Per questo dobbiamo testarlo». Le dichiarazioni di Obama si accompagnano alla vigorosa professione di pacifismo anti-nucleare che il leader di Teheran esibisce sugli schermi della tv americana Nbc: «Non abbiamo mai perseguito la fabbricazione di una bomba atomica e non lo faremo in futuro. Abbiamo ripetutamente detto che in nessuna circostanza andremo in cerca di armi di distruzione di massa». Certo i governi che attribuiscono finalità militari e non solo civili al programma nucleare dell’Iran, non si accontenteranno di solenni promesse, non nuove peraltro sulla bocca dei dirigenti della Repubblica islamica. Più convincente semmai è il passaggio in cui Rohani rassicura gli interlocutori di un eventuale negoziato, sulla solidità della sua posizione politica nel contesto istituzionale iraniano, dove le cariche come la sua, frutto di un mandato elettorale, sono soggette al superiore volere dei capi religiosi. «Rispetto al programma nucleare -afferma Rohani- questo governo si muove con pieni poteri e ha completa autorità». E per essere ancora più chiaro, aggiunge: «Abbiamo sufficiente ampiezza di iniziativa politica per risolvere la questione». Insomma fidatevi di me, è l’ora di trattare. L’occasione va colta al volo, commentano gli esperti, perché se i duri del regime hanno concesso carta bianca a Rohani, non è a tempo indeterminato. Lo hanno fatto perché il suo larghissimo sostegno popolare rendeva inevitabile venire a patti con lui.

Inoltre, l’economia nazionale è fiaccata dalle sanzioni internazionali, e l’unico modo per indurre Washington, la Ue, l’Onu ad attenuarle è rimuoverne la causa, cioè i sospetti sui veri scopi per cui viene arricchito l’uranio negli impianti iraniani. Dunque c’è accordo a Teheran sull’opportunità di riprendere le trattative. Khamenei stesso l’ha detto ai Pasdaran, braccio armato dell’establishment integralista: «Non sono contrario alla diplomazia. Sono favorevole a esibire la condiscendenza del campione, come un lottatore che cede terreno per ragioni tattiche, pur senza dimenticare chi è il nemico». Ma se Rohani non porterà a casa risultati concreti entro breve, i conservatori gli ritireranno il via libera e avranno argomenti per giustificare un nuovo irrigidimento. Al rasserenamento del clima ha contribuito il recente scambio di lettere fra Obama e Rohani. Quest’ultimo definisce «positivo», e «costruttivo» il messaggio ricevuto. Il Wall Street Journal ipotizza incontri fra rappresentanti dei due governi la settimana prossima in margine ai lavori dell’Assemblea generale dell’Onu, e non esclude una stretta di mano o un breve scambio verbale fra i due capi di Stato. I segnali di volontà riformatrice da parte di Rohani si moltiplicano. L’ultimo è il rilascio di 11 detenuti politici, compresa Nasrin Sotoudeh, avvocata attiva nella difesa dei diritti umani, e Mohsen Aminzadeh, protagonista del movimento democratico del 2009. Alla Nbc Rohani dice: «Nel mondo d’oggi l’accesso all’informazione e il diritto a pensare e dialogare liberamente appartengono a tutti i popoli compreso il nostro». Quanto ai rapporti con Israele, è importante che «i Paesi e i popoli della regione si avvicinino di più l’un l’altro e siano capaci di prevenire aggressione e ingiustizia». Qualche settimana fa, per il Capodanno ebraico, aveva mandato gli auguri a «tutti gli ebrei». Ieri il giornale di Tel Aviv Haaretz titolava: «Venti di cambiamento in Iran».

 

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