L'intesa Pd-Udc? Una via accidentata (in attesa di Lombardia e Lazio)

Quanto più il sistema politico s'incarta (vedi la Sicilia, al di là dell'autocompiacimento di certi leader), tanto più il presidente della Repubblica si preoccupa della stabilità istituzionale e delle prospettive a medio termine. Non c'è da meravigliarsi: se la tendenza siciliana al l'astensione come forma di protesta e di sberleffo dovesse dilagare su scala nazionale, le conseguenze non sarebbero indolori.
E se il 15 per cento di Grillo a Palermo dovesse trasformarsi in un 20 per cento nell'Italia continentale, come sostengono previsioni tutt'altro che inverosimili, il paese rischierebbe il non-governo.
Ne deriva che il capo dello Stato tiene fermi due punti: il sostegno a Monti, come migliore risposta alle inquietudini che serpeggiano nella comunità internazionale e in particolare negli ambienti finanziari sulla tenuta dell'Italia; e la necessità di riformare la legge elettorale prima di pensare a sciogliere le Camere. Il che significa scivolare verso l'epilogo naturale della legislatura, nell'aprile del 2013. Appena in tempo per permettere al nuovo Parlamento di riunirsi per eleggere il nuovo presidente della Repubblica (Napolitano, come è noto, scadrà a metà del prossimo maggio).
S'intende che questa salda cornice a protezione di Monti non basta a risolvere i problemi. Spetta alle forze politiche rispondere al malessere che il voto in Sicilia ha fatto emergere. Ciò che non sta accadendo in misura significativa. D'altra parte le parole di Napolitano, ascoltate insieme al commento di Monti sul «governo maledetto» che però riscuote più consensi dei partiti, indicano che nessuno – né al Quirinale né a Palazzo Chigi – crede all'intemerata di Berlusconi e alla sua minaccia di far cadere l'esecutivo.
Da un lato si pensa che l'ex premier non abbia né la forza né la voglia per imbarcarsi in una simile avventura; dall'altra si ritiene che il governo possa disporre comunque di una maggioranza parlamentare, anche nel caso in cui un drappello di berlusconiani oltranzisti dovesse decidere di votare contro. E la posizione manifestata da Alfano, di pieno sostegno a Monti, costituisce una netta discriminante.
Il punto è che nessuno sa bene cosa accadrà nei prossimi mesi. Il tasso d'incertezza aumenta. Se per ipotesi Beppe Grillo uscisse dalle elezioni di primavera con quel 20 per cento, il Parlamento potrebbe diventare un Far West. E allora si torna a Monti come centro di equilibrio, il solo possibile in una situazione d'emergenza continua.
S'intende che Bersani non è affatto d'accordo con questo scenario. È convinto di avere in mano le carte giuste per arrivare lui a Palazzo Chigi. Come dire che accetta il «modello Crocetta», ossia l'intesa Pd-Udc non solo a Palermo, ma non intende fare a meno di Vendola, cosa che invece in Sicilia è avvenuta. Il leader del Sel è la garanzia per Bersani di non essere scavalcato a sinistra, ma soprattutto di non finire fagocitato dal «grande centro», come accadrebbe se il patto con il presidente della Puglia fosse rotto. Viceversa un centrosinistra riorientato verso i ceti moderati aprirebbe la strada al Monti-bis, secondo il progetto di Casini e dei tanti che agiscono nell'area centrista, sia pure in ordine sparso. Compreso il cartello Montezemolo-Bonanni-Riccardi. Al momento siamo fermi a questo punto, in attesa di vedere come andrà il voto regionale nel Lazio e in Lombardia.
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