Il linguaggio del diritto al lavoro

Dalla Rassegna stampa

Il diritto al lavoro - ha indubbiamente ragione nel negarlo la signora Fornero - è una locuzione di linguaggio politico tramontato che non ha senso pretendere di richiamare come costituzionale (art.4) nelle logomachie verticali o popolari. L’irrealtà ci affligge più delle realtà perché impedisce la percezione dei fondamenti reali delle cose. Agli italiani tutti è soprattutto negata la possibilità di accedere ad un linguaggio che non li inganni.

La Costituzione è ancora la stessa di poco meno di settant’anni fa e riflette linguaggio e luoghi comuni del tempo. Nacque dalla convergenza di un partito che ubbidiva al Papa e di un altro che in tutto era la voce del Cremlino di Stalin, con spruzzate consentite di minoritario liberalismo occidentale e di echi ritrovati dell’Ottantanove. La cura principale di De Gasperi era, a qualunque costo, di inserire la riconferma dei patti concordatari del 1929, e di affermare l’indissolubilità del matrimonio. (La parola «indissolubile», che costò notti di veglia al Papa non fu ammessa nel testo). De Gasperi ottenne la bramata riconferma, sebbene eredità fascista, pagando un prezzo politicamente e religiosamente castrante al partito comunista (i senatori di diritto: altro diritto inesistente). Sul tema «lavoro» imperversavano i dogmi retorici dei partiti di sinistra che hanno viaggiato insieme al bagaglio costituzionale più consistente fino ad oggi. La compunta apertura, nel testo che si bea della definizione di Repubblica democratica fondata sul lavoro è una pura scemenza. Se togli «sul lavoro» ne vibra l’essenza: democratica può bastare. Facendo il conto degli scioperi nazionali e regionali si potrebbe dirla fondata sullo sciopero. Se per «lavoro» s’intende il posto di non se ne può certo fare un principio repubblicano! La gente minuta e intelligente è sazia di queste sparate, che purtroppo abbondano e intimidiscono la libertà di

Emendare il linguaggio, qui è la vera riforma Alfa-Omega, la rivoluzione legittima permanente. Che il lavoro debba essere tutelato e protetto, questo sì, fa diritto; e anche il pensionamento per chi abbia faticato, e rimasto invalido abbia cessato prima di lavorare, è ovviamente un diritto; ma è legislazione ordinaria. La prof. Fornero rettifica semplicemente un errore linguistico, elevato a principio sacro.

Ma lo stesso si può dire anche del diritto alla salute (art. 32). Si ha diritto alle cure, alla salvaguardia, all’assistenza - ma la «salute» non è mai stata un diritto. Lo grida l’intera esperienza umana dei mortali: la salute è un bene transitivo quando c’è, perché il genere umano è destinato alle malattie e al decadimento del corpo e della mente, e dalla morte «niuno homo vivente po’ scampare», e San Francesco la loda, e ne loda il suo Signore, che dà e ritoglie, illumina chi vuole e oscura chi vuole, senza predestinare nessuno a un posto di lavoro fisso a vita, senza sentirsi minimamente impacciato da obblighi costituzionali in aeternum .

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