Il Lingotto non segua le provocazioni

Dalla Rassegna stampa

 

Un sì convinto per Fabbrica Italia e all'investimento di Pomigliano, ma un richiamo ad abbassare la tensione col sindacato e il rilancio del tema della cogestione (manager e lavoratori) proprio come alternativa all'antagonismo. A Rimini, il leader Cisl Raffaele Bonanni parla di crisi e di Fiat, e si trova in corrispondenza di amorosi sensi con il Ceo di Cà de Sass Corrado Passera proprio sulla cogestione. Bonanni non ha dubbi: «Noi vogliamo dare una mano al Lingotto», dice. «Non ci mettiamo di traverso come altri sindacati, che pensano si possa prescindere da quel che succede nel mondo, specie nel comparto auto. Però a Sergio Marchionne chiedo di non seguire le provocazioni della Fiom, perché così facendo mortifica la maggioranza dei lavoratori e non aiuta gli investimenti di Fabbrica Italia, che nascerebbe su basi fragili».
Il riferimento al caso dei tre operai licenziati dal Lingotto è evidente. «Marchionne sbaglia a non reintegrarli. Così rischia di essere la faccia opposta a quella fiommina». Piuttosto, l'alternativa al clima rovente è avere «persone partecipi». Una cogestione culturale ma anche fattuale quando il segretario Cisl arriva a dire che «ci vorrebbero lavoratori dentro i consigli di indirizzo e controllo sul modello tedesco. Almeno nella grandi aziende il sistema deve evolvere al sistema partecipativo». Un'opzione da cui Passera non si tira indietro, anzi: «il tavolo è già aperto», conferma. «Sul come e sulla governance vedremo, ma il tema è ineluttabile e c'è molto di vero nelle parole di Bonanni». P poi lo stesso Passera a incitare il Paese. «Sulla crescita - spiega - ci giochiamo tutto. Dovrebbe essere il primo punto in agenda del governo, invece...» . Il numero uno di Intesa Sanpaolo, sul palco con il leader cielino e il direttore centrale di Finmeccanica, Giovanni Bertolone, striglia la politica indicandola stella fissa da seguire, per non uscire dal giro dei paesi che contano. Per Passera crescere si può, «basti vedere la Germania», crescere si deve, «perché con lo zero virgola non si crea occupazione» e si rischia di dover dismettere «conquiste mai definitive, il welfare ad esempio».
Un'impellenza che non deve far dimenticare «in quanti settori a forte crescita possiamo essere all'avanguardia perché sono il nostro core». Automazione, beni per la casa, agroalimentare, filiera della sanità. «Siamo una delle 6-7 grandi economie del mondo, non dimentichiamolo», sprona Passera, distillando il suo vademecum di patriottismo economico. «Nella crisi ce la siamo passata meglio di molti paesi, i conti pubblici sono in ordine, alcune riforme come le pensioni sono state fatte». Però per Passera «manca il clic per riavviare la crescita, che non è mai casuale». Piuttosto bisogna far lavorare insieme «pubblico e privato, impresa e sindacato come nel caso delle Poste, di Alitalia, del fondo Pmi e dell'housing sociale». Inoltre ci sono «molte riforme da poter fare quasi a costo zero». Le risorse servono invece per le infrastrutture, «ma è inimmaginabile che in 800 miliardi di spesa pubblica, sbilanciata su quella corrente invece che sugli investimenti, non ci siano spazi di recupero (così come dentro la sacca dell'evasione) per reperire 40-50 miliardi l'anno per 4-5 anni necessari agli investimenti strategici». Anche perché la fiducia è in risalita. Il Pil dovrebbe attestarsi sul +1% a fine 2010, dopo il grande freddo 2009.
«Il punto vero - spiega Bernard Scholz, che ha moderato l'incontro - è la produttività in caduta libera (-2,7% nel triennio)». Insomma quali condizioni servono per una ripresa centrata su produttività, occupazione e competizione internazionale, chiede il capo della Compagnia della Opere? Qui Passera è tornato sul tema sensibile della crisi e delle Pmi, il sistema nervoso dell'industria italiana. «Dobbiamo fare di tutto per rendere più agevole la loro attività, ma la flessibilità del piccolo non basta più, occorrono investimenti in innovazione e internazionalizzazione, occorre una maggiore forza patrimoniale e finanziaria, aggregazioni e consolidamento». Perché «sono ancora poche quelle che presentano conti comprensibili», e senza questi «è difficile riconoscere un buon merito di credito». Insomma la coda della crisi è ancora insidiosa.
Nel 2009 Intesa Sanpaolo ha subito 3,7 miliardi di perdite sui crediti, cifre enormi che in scala minore si riproporranno quest'anno. Tuttavia la crescita resta in cima all'agenda e per arrivarci bisogna agire a tutto campo. Anche «armonizzando all'insù talune rendite finanziarie, penso al capital gain negli interessi sui titoli per alleggerire le tasse su lavoro e impresa», apre Passera. Quanto a Basilea 3, il Ceo milanese conferma che «l'accordo raggiunto nei giorni scorsi rappresenta un passo avanti positivo, il pacchetto è meno recessivo. Anche se non si percepisce ancora la volontà di premiare le banche dell'economia reale e del credito rispetto a quelle del trading finanziario...».

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