L'inferno al di qua del muro

Dalla Rassegna stampa

 Morire in carcere, morire di carcere. Salvo che le notizie esplodano grazie a luci e suoni (le fotografie di un cadavere massacrato, la registrazione di una sfuriata sul sottoscala adatto ai massacri) non se ne parla. Non si parla dei suicidi di detenuti, argomento da specialisti e da familiari. E, guardate, non si parla nemmeno dei suicidi di agenti penitenziari, benché colpiscano anch`essi per numero e circostanze. Le notizie sulle violenze in carcere mettono ancora una volta gli uni contro gli altri i detenuti e i loro custodi, guardie e ladri. Ma la galera, nonostante tutto, li accomuna: la galera ha un odore, un rumore, un umore che corrompe e ammala fino all`ultima fibra di chi ci vive, con un`ora d`aria recintata o con la mezza giornata libera. La galera è un mondo chiuso, il più chiuso dei mondi: la quantità di mandate delle sue serrature è paradossale, superflua ed essenziale. Qualcuno è chiuso, qualcuno chiude: differenza enorme. Ma i corpi dei detenuti, espulsi dal mondo di fuori con cento mandate, hanno una prossimità estrema con quelli dei sorveglianti, che le mascherine sulla bocca e i guanti di plastica sulle mani non bastano ad attenuare. Nel mondo chiuso c`è una comunicazione mutilata, ma ininterrotta: la gran parte dei detenuti viene spostata («sballata») da un carcere all`altro, e anche i trasferimenti degli agenti sono frequenti. Chi sta dentro a lungo può dimenticare com`è fatto il mondo di fuori, ma impara tutto di quella sua materia separata, la geografia delle prigioni. Il cittadino libero che ascolti la registrazione di Teramo si spaventa e si scandalizza: dunque questo succede nel carcere di Teramo (sono state registrate le voci degli agenti che picchiavano un recluso, ndr). Il detenuto che l`ascolti si meraviglia: dunque quello che succede in tante galere a Teramo è venuto fuori! Intendiamoci: le carceri non sono tutte uguali, né le persone che ci vivono. Ma la brutalità ci sta di casa, e le celle riempite senza limiti di corpi a perdere rendono pressoché impossibile una convivenza decente ed esasperano ogni rapporto.  Gli agenti penitenziari sono i peggio trattati fra tutti i corpi di polizia. E sono molto diversi fra loro. Ce ne sono che si risarciscono della propria debolezza umana abusando del potere che viene loro delegato e sfogando i peggiori pregiudizi del loro e nostro tempo: provocando, insultando, picchiando. Ce ne sono che prendono sul serio il lavoro che hanno scelto, o gli è toccato, e si sforzano di contribuire a quell`opera di socializzazione che leggi e regolamenti attribuiscono loro in teoria, e la condizione pratica non fa che frustrare. E poi ce ne sono altri, stanchi, o rassegnati, o «bruciati», e non hanno nessuna voglia di cattiveria, ma neanche di andare contro i mulini a vento, e di misurarsi con l`entusiasmo delle cattiverie altrui: girano la testa. Tutto questo è umano, troppo umano. Per giunta, i meccanismi di gruppo e di branco che fanno perdere la testa alle persone in una curva di stadio, o all`uscita da un concerto, nel chiuso del carcere si esaltano fino a espropriare le persone di sé. Nel famigerato pestaggio collettivo di Sassari, nel 2000, successe ad agenti estranei ai reparti «speciali», raccolti lì alla rinfusa da altre sedi. Succede del resto nelle camere dette amaramente «di sicurezza» delle caserme, e perfino alla polizia in una strada, come nella Ferrara di Federico Aldrovandi. Che fare? Certo, piantarla con le leggi criminogene, rinunciare alla cinica routine che spinge in galera migliaia di disgraziati senza difesa, cambiare le condizioni di vita quotidiana di ladri e guardie (costo per detenuto: circa 157 euro al giorno; costo dei pasti per detenuto: 3 curo al giorno). Ma una cosa prima e sopra tutto: ridurre al minimo l`invisibilità della galera. Lasciarla vedere, lasciarsi vedere. Come hanno spiegato a Teramo, il detenuto si massacra al piano di sotto. Ecco: bisogna abolire il piano di sotto. 

© 2009 Radicali italiani. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK