L'impronta del Quirinale nell'avvio della nuova legislatura. Per la stabilità

Giorgio Napolitano ha pronunciato ieri sera al Quirinale un discorso complesso e ricco di significati. Si poteva immaginare che fosse solo un commiato, dal momento che questo è l'ultimo Natale che il capo dello Stato trascorre al Quirinale ed egli stesso ha tenuto a sottolineare, citando Livio Paladin, che «la non rielezione è l'alternativa che meglio si conforma al modello costituzionale di presidente della Repubblica».
In realtà c'era non poca attesa per le parole di Napolitano perché il passaggio dalla fase istituzionale del governo «del presidente» alla nuova stagione del Monti politico, sullo sfondo dello scioglimento delle Camere, è il tema cruciale della fine d'anno.
Le aspettative non sono andate deluse. Il capo dello Stato ha espresso molta delusione per i risultati complessivi della legislatura che si conclude. Doveva essere un quinquennio votato alle riforme, ma il bilancio è povero, figlio di una politica che non ha saputo rinnovarsi. Sulla nuova legislatura che prenderà forma in febbraio pesa quindi una responsabilità drammatica, fra recessione economica, malessere sociale e spinte anti-sistema.
Qui Napolitano ha fissato due punti. Il primo è che sarà lui, l'attuale capo dello Stato, a consegnare le chiavi di Palazzo Chigi al vincitore delle elezioni. Il secondo è che il prossimo governo sarà fondato sul mandato elettorale: esecutivo politico nel senso più limpido del termine, quindi, in quanto l'epoca dei «tecnici», cominciata nel novembre del 2011, si conclude con le dimissioni di Monti.
In sostanza l'anticipo del voto ha cambiato lo scenario e Napolitano sarà chiamato a risolvere la crisi post-elettorale, a differenza di quello che egli stesso aveva prospettato quando si pensava che la legislatura sarebbe finita in aprile. Non è questione di poco conto. Significa che la nuova legislatura nascerà con l'impronta dell'attuale presidente. La stabilità, bene prezioso più volte citato, vedrà ancora una volta Napolitano nella funzione di garante. Il che non mancherà d'influenzare gli equilibri parlamentari in vista dell'elezione (fine aprile-inizio maggio) del nuovo capo dello Stato.
Si tratterà comunque di un governo politico ben inserito nella cornice europea. Monti, che sta rinunciando in questi giorni al suo ruolo «super partes», almeno così sembra, sarà un attore politico a tutti gli effetti nel nuovo Parlamento, sia pure da senatore a vita. Di conseguenza giocherà le sue carte in base ai consensi che saprà trovare nelle urne. E la relazione speciale Napolitano-Monti in ogni caso cambia di segno: senza risentimento, ma con una chiara distinzione di ruoli.
Ora sta al presidente del Consiglio definire la sua rotta nel mare in tempesta. Spetta a lui comunicare al paese la sua decisione e rivolgersi, se crede, agli italiani. I sondaggi cominciano a registrare numeri rilevanti per un'ipotetica «lista Monti». L'obiettivo è colmare un vuoto nell'area moderata e battere i residui del populismo berlusconiano. Ma il tempo stringe. Quanto a Bersani, è chiaro che Monti non lo considera un avversario bensì un potenziale interlocutore nella prossima legislatura. Un centro e un centrosinistra entrambi europei chiamati a collaborare fra Camera e Senato. Era lo scenario evocato da Scalfari domenica su "Repubblica": più che plausibile, se la campagna elettorale non sarà lacerante.
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