L'illusione di usare i vescovi

Nell'agenda di questa campagna elettorale, finalizzata, così sembrava, a scegliere gli amministratori locali in alcune regione d'Italia e invece divenuta, strada facendo, il pretesto per una resa dei conti tra forze politiche che reciprocamente si accusano di essere nemiche della democrazia; nell'agenda di questa campagna elettorale, si diceva, era sinora entrato un po' di tutto: magistrati corrotti, magistrati comunisti, donne offerte come gadget o tangente, arresti di mariuoli rigorosamente bipartisan, intercettazioni a go-go e a vanvera, giornalisti col bavaglio, giornalisti perquisiti, giornalisti in ginocchio, nuove o soltanto ventilate tangentopoli, scioperi della fame. E poi ancora: la lotta al cancro, la difesa della Costituzione, Goebbels e Hlitler, massoneria e tangenti, il presidenzialismo, il nucleare, questori alticci e naturalmente la mafia.
Mancava solo l'aborto. Mancava solo l'aborto, per rendere la battaglia politica in corso ancora più dirimente e decisiva. Ma a colmare il vuoto ci avrebbe pensato, per bocca del cardinale Arnaldo Bagnasco, la Conferenza episcopale italiana, che con un intervento quanto mai tempestivo (si vota tra pochi giorni), per alcuni impegnativo e solenne, per altri un tantino irrituale e fuori registro, avrebbe sollecitato i cattolici a tenere conto, nelle loro prossime scelte, dell'orientamento dei candidati su quelli che la Chiesa considera "valori non negoziabili". A partire appunto dalla difesa della vita, dal concepimento fino alla morte.
In realtà, nella sua prolusione, destinata a illustrare gli orientamenti pastorali della Chiesa italiana per il prossimo decennio, Bagnasco ha affrontato molti altri temi, senza risparmiare critiche a nessuno e senza nascondere il malessere che da mesi, da quando è scoppiato il caso dei preti pedofili, attraversa la stessa Chiesa. Ha perciò parlato di immigrati (da accogliere e integrare) e di diritto al lavoro (da garantire a tutti), di criminalità organizzata (da combattere con risolutezza) e di corruzione (nessuna indulgenza per i politici che rubano nell'esercizio della loro funzione).
Ha criticato l'egoismo e l'esasperata ricerca del tornaconto individuale che talvolta sembrano
caratterizzare l'attività politica, ma ha anche ricordato che la politica può rappresentare
un'attività nobile, purché tenga conto del vincolo sacro che fonda ogni società, basata su una forma di legame che va oltre gli individui e si trasmette di generazione in generazione. Ha anche espresso, contro i fautori di un "cronico snobismo", un giudizio ottimistico sul futuro dell'Italia, ancora piena di energie morali e materiali.
Ma è inevitabile che l'attenzione di tutti gli osservatori - a dispetto delle precisazioni arrivate
ieri dallo stesso Bagnasco, che ha ricordato che i valori «non possono essere selezionati secondo la sensibilità personale, ma vanno assunti nella loro integralità» - si sia concentrata sulle riflessioni in materia di aborto, definito un «delitto incommensurabile». E in particolare su quel passaggio nel quale il presidente della Cei, tirando le fila del suo lungo ragionare, ha spiegato ai cittadini italiani la necessità di inquadrare «con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale». A suo giudizio, infatti, il voto - un evento che in nessun caso deve essere trascurato, con buona pace dei fautori dell'astensionismo - «avviene sulla base dei programmi sempre più chiaramente dichiarati e assunti dinanzi all'opinione pubblica, e rispetto ai quali la stessa opinione pubblica si è abituata ad esercitare un discrimine sempre meno ingenuo, sottratto agli schematismi ideologici e massmediatici».
Il linguaggio, come si vede, è ellittico e sfumato, quello tipico degli uomini di Chiesa quando affrontano le questioni secolari e si misurano con il potere costituito, ma la sostanza sarebbe tuttavia chiarissima: i cattolici non possono votare per quei candidati, come ad esempio la Bonino nel Lazio o la Bresso in Piemonte, apertamente abortisti. Questo almeno si è letto sulle pagine dei giornali, con grossi titoli: polemici a sinistra, compiaciuti a destra. Ma forse si sarebbe potuto scrivere, sempre fedeli alle parole di Bagnasco, che i cattolici non possono votare per chi tratta gli immigrati come uomini di seconda scelta o per chi usa la politica solo per arricchirsi o per fare favori agli amici.
In ogni caso, si sarebbe trattato di una forma d'ingerenza nella vita pubblica nazionale, intollerabile o benvenuta a seconda delle preferenze di ognuno. E in effetti esiste il rischioche, con simili interventi, si finisca quasi per affermare una sorta di protettorato morale sulla politica italiana. Ma se questa è l'impressione prevalente la colpa, più che della Cei, che in fondo fa soltanto il suo mestiere, è a conti fatti della stessa politica, in Italia mai stata così debole e così poco autonoma. E in particolare di quei sedicenti cattolici che invece di mediare, all'interno delle istituzioni, tra le posizioni non negoziabili della Chiesa e la sfera politico-sociale, alla ricerca di un punto di equilibrio che tenga conto della complessità ed eterogeneità del mondo in cui viviamo, si limitano a cavalcarne le posizioni a scopi elettoralistici, alla ricerca di quella legittimazione sociale che nel frattempo hanno perduto.
Quelli che sono, dal punto di vista dei vescovi, legittimi e irrinunciabili pronunciamenti dottrinali (e quelli sul tema della sacralità della vita lo sono al massimo grado) vengono così scambiati, ogni volta, per direttive politiche o indirizzi di voto, da rigettare in blocco o ai quali attenersi con modalità tanto assertive quanto palesemente strumentali. La politica, secondo la dimenticata lezione della vecchia Dc, dovrebbe invece rappresentare un filtro tra il dogmatismo della Chiesa, che non può negare se stessa per inseguire lo spirito dei tempi, sarebbe la sua fine, e il pluralismo di valori che rappresenta il fondamento delle società democratiche odierne. E invece, anche in quest'ultimo caso, soprattutto nel centrodestra, si è assistito alla solita rincorsa a presentarsi, senza nemmeno tenere conto degli orientamenti reali del proprio elettorato e dei propri personali convincimenti, come il braccio secolare della Chiesa e dei valori che essa incarna. Con il bel risultato, probabilmente sgradito alla stessa Cei, di trasformare quest'ultima in un attore politico tra gli altri e di svilime la missione d'indirizzo spirituale. Sino a costringerla, come appunto è capitato ieri, a precisazioni e correzioni di tono persino imbarazzanti. Come si può infatti dubitare che per la Chiesa difesa della vita e dottrina sociale, sostegno alla famiglia e lavoro, libertà religiosa e libertà d'educazione, giustizia e moralità pubblica siano un unico patrimonio di valori e non una piattaforma elettorale nella quale pescare ciò che fa più comodo?
© 2010 Il Riformista. Tutti i diritti riservati
SU
- Login to post comments